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Inter "d'Arabia", il silenzio di Zhang? Ecco cosa c'è dietro e perché da noi fa rumore

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Tommaso Lorenzini
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L'estrema circospezione comunicativa e la ritrosia nell'apparire dei cinesi sono dati storicamente assodati, specialmente se trattasi di immigrati in terra straniera. Il titolo del libro "I cinesi non muoiono mai" (Chiarelettere, 2008) estremizzava provocatoriamente il concetto, andando alla scoperta della comunità «più tranquilla, più dinamica, ma meno conosciuta» d'Italia. Abbiamo capito che di questa estrema discrezione si sta facendo esempio la famiglia Zhang, proprietaria dell'Inter che in questa settimana è stata al centro di indiscrezioni, voci e perfino accuse pesanti per nulla velate. 

 

In ordine. Lo scorso mercoledì Libero pubblica la notizia che emissari del fondo sovrano dell'Arabia Saudita, Pif (Public Investment Fund), sono arrivati in città a metà settembre per trattare l'acquisto del club nerazzurro: si sta discutendo su una cifra intorno al miliardo di euro e la questione del futuro stadio cittadino (che sia un ristrutturato Meazza o un nuovo impianto da costruire) sarà centrale per la quotazione del club. L'Inter non ha mai smentito ufficialmente Libero; lo hanno fatto invece, e con sicurezza, vari media che non sapevamo fossero l'ufficio stampa dei nerazzurri... Il giorno successivo, Il Sole 24Ore pubblica un articolo che spiega come Suning, di proprietà della famiglia Zhang, stia lavorando a una ristrutturazione dell'enorme debito, 2,6 miliardi di dollari verso il gruppo immobiliare Evergrande (ora a rischio crac), in collaborazione con una delle banche più importanti di Cina, Citic. Nel "pacchetto" è compresa anche la branca Suning Sports, della quale l'Inter è divenuta l'asset più importante e i conti recentemente approvati dal Cda interista (245 milioni di perdite) fanno tenere alta l'attenzione, anche in vista della prossima assemblea dei soci programmata il 28 ottobre. 

 

Venerdì, durante un evento organizzato dal Financial Times, il presidente della Fiorentina Rocco Commisso ha imbracciato il piccone: «Il problema in Italia è che le regole non valgono per tutti. C'erano alcuni club che erano ben lontani dal rispettare i requisiti necessari di liquidità. E uno di questi ha vinto il campionato. Andava penalizzato». Ecco, se a tutto questo state cercando in giro un replica del presidente dell'Inter, Steven Zhang, non preoccupatevi, non ve la siete persa: non c'è. Zhang non si è esposto, vuoi per scelta personale, vuoi perché il governo di Pechino gli ha "consigliato" di non farlo (cosa da non escludere) né di farsi vedere a Milano. Ma se per la Cina questo modo di fare comunicazione è prassi, non lo è affatto nella gestione di un club calcistico in Italia.

Periodicamente i due amministratori delegati, Antonello e Marotta, ragguagliano e rassicurano per quanto concerne le loro aree di competenza (amministrativa e sportiva), il ds Ausilio, giustamente, si tiene coperto (ieri a Dazn ha dribblato: «Pif? Non so chi sia»). È da Zhang che l'interista attende una versione credibile e corretta della situazione arginando fughe di notizie, illazioni e gossip. C'è chi ritiene che tacere sia meglio di rifilare pietose bugie, ma questo silenzio fa rumore, sebbene non copra i primi mugugni... 

 

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