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Tokyo 2020, scherma azzurra tra flop e risse: ecco quali sono le vere ragioni del tracollo

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Elisa Di Francisca

Claudio Savelli
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Per un'Italia che vince ce n'è una che perde. Non solo le medaglie ma anche la faccia. È quella della scherma, che chiude con zero ori sia nell'individuale sia nelle squadre, visto il ko del fioretto maschile ai quarti contro il Giappone (45-43). Sono cinque le medaglie conquistate in pedana, una in più di Rio, ma l'assenza del metallo più prezioso rende la spedizione a Tokyo la peggiore degli ultimi 41 anni: a Mosca 1980, l'Italia raccolse solo un argento con la squadra di sciabola maschile, ma allora erano solo 8 le armi e nel femminile non erano previste spada e sciabola.

 

Conta anche come si perde, e l'Italia della scherma ha perso male, andando quasi sempre in vantaggio e subendo le rimonte, soprattutto nelle due squadre di fioretto in semifinale (donne) e nei quarti (uomini). Vuol dire che manca personalità e serenità, più che tasso tecnico. Ne è prova la stoccata di Di Francisca, che ha rinunciato a Tokyo per la gravidanza, verso l'ex amica, Arianna Errigo e il ct del fioretto Andrea Cipressa, che ha risposto a tono definendo un «voltafaccia disgustoso» quello «di una persona che sputa veleno nel piatto in cui ha mangiato».

Il problema è evidente: al contrario di quanto successo in quasi tutti gli altri sport, gli azzurri e le azzurre della scherma non hanno saputo fare squadra. Né quando hanno gareggiato come singoli, né quando sono saliti in pedana uniti. Capita quando il veleno corre nel sangue del movimento, e qui ce n'è in abbondanza: ribolle tra gli atleti mentre viene iniettato dai piani alti. Da lassù, il presidente del Coni, Giovanni Mala gò, accusa: «I risultati della scherma sono stati profondamente deludenti: ci aspettavamo ben altro» e ora «ci vuole una profonda riflessione nella Federazione».

 

Ci sarà, come annuncia il nuovo presidente (dallo scorso febbraio) Paolo Azzi: «Le gerarchie si azzerano, l'assetto che si era definito non vale più, si riparte». Con un'idea di squadra, si spera. Perché come insegnano Tamberi e Jacobs, condividere un'amicizia è utile, per non dire fondamentale, anche negli sport individuali.

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