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Euro 2020, Roberto Mancini e il discorso prima della finale: "Spina...". Il gelo e poi il delirio: Inghilterra distrutta così

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L'arte di preparare una finale. Alla lavagna, è il caso di dirlo, il professor Roberto Mancini. Siamo nella pancia di Wembley, a pochi minuti dalla finalissima di Euro 2020 contro l'Inghilterra, padrona di casa e grande favorita per la vittoria. Tutto lo stadio, tranne uno spicchio azzurro, è bianco e intona "it's coming home", duchi William e Kate Middleton e principino George in testa. Il clima è quello di una grande festa con un unico agnello sacrificale: l'Italia.

 

 

 

La stampa britannica sta bombardando da giorni, i Tre Leoni sembrano in grado di portare a casa il primo titolo europeo della loro storia, dopo il grande smacco del 1996. Alla vigilia si temono i favori arbitrali, con l'olandese Kuipers al passo d'addio, dopo le spintarelle in semifinale contro la Danimarca a favore degli inglesi. Il pericolo per gli azzurri è duplice: da un lato adagiarsi sugli allori, dopo le imprese nei quarti contro il Belgio e in semifinale con la Spagna. A loro nessuno poteva oggettivamente chiedere di più, dopo un torneo giocato da prima della classe. Il secondo pericolo è quello dell'alibi perfetto: alla prima folata di vento contrario, la tentazione di arrendersi a un destino ineluttabile. A noi gli applausi, a loro la coppa. Bravi, complimenti, sarà per la prossima volta. 

 

 

 


Invece no. Il ct Mancini da un lato sdrammatizza e scherza, dall'altro responsabilizza i nostri. Il suo discorso motivazionale durante la riunione tecnica è finito nella docu-serie Sogno Azzurro - La strada per Wembley che andrà in onda giovedì 15 luglio prossimo alle 20.30 su Rai1. L'estratto, un minuto scarso, è emozionante. Prima il Mancio disegna sulla lavagnetta i nomi degli undici titolari. "Gigio, DiLo, Leo, Giorgio, Spina...". Momenti di silenzio, ha detto veramente Spinazzola, infortunatosi gravemente contro il Belgio. Poi l'allenatore guarda i suoi giocati e ride sornione - Emerson. Jorgio, Marco, Bare, Ciro, Lorenzo e Federico". Quindi poche parole, un messaggio che entra nei giocatori e immaginiamo non esca più fino ai rigori. E che soprattutto sarà rimbalzato nelle loro teste dopo i primi deludenti e difficili 45 minuti. "Allora, io non ho niente da dire. Voi sapete quello che siete, e non siamo qua per caso. Siamo noi i padroni del nostro destino, non l'arbitro, non gli avversari, nessuno. Voi sapete quello che dovete fare". Alla fine, l'hanno fatto. E alla grande.

 

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