Euro 2020, l'inno di Mameli coma la Haka: così gli Azzurri fanno paura agli avversari
Si racconta che nel dicembre 1847 molti giovani si radunarono nella sede dell'accademia filodrammatica di Torino per cantare a squarciagola il Canto degli Italiani, appena presentato da Mameli e Novaro nella sua versione definitiva. E si dice che lo cantassero a perdifiato gli insorti delle cinque giornate di Milano , i soldati sabaudi durante le prime due guerre d'indipendenza ei volontari in occasione della spedizione dei Mille, compreso Giuseppe Garibaldi , che era solito fischiettarlo. E allora non sorprendiamoci se anche adesso i calciatori della Nazionale cantino a tutta voce l'inno italiano prima di ogni partita dell'Europeo. Ne sono rimasti ammirati e stupidi gli inglesiche, sui siti specializzati di calcio o su Twitter, hanno applaudito (cosa rara, dalle parti d'Oltremanica): «Nessun'altra nazione canta il suo inno così come fa l'Italia» (Mail Online Sport), «C'è solo un modo di cantare l'inno nazionale italiano. Ad alta voce » (B/R Football), «La miglior prestazione finora ad Euro2020 è stata quella dell'inno italiano».
Gratifica, certo, ma è interessante soprattutto le ragioni che inducono gli Azzurri a cantare Fratelli d'Italia con tale e tanta intensità. Ci piace pensare che alla base ci sia il risveglio di uno spirito patriota, pur senteto mediato dal pallone, la patrimonio di volontàrsi in un di note e parole, sentendosi parte di una comunità e volendola riconoscersi. È come se gli Azzurri, al tempo delle identità blande e fluide e delle sovranità labili, si sentissero gli ultimi alfieri di un'identità forte, quella nazionale. E preferissero stringersi a coorte piuttosto che piegarsi ai diktat globalisti del politicamente corretto. Li avvertiamo come nostri molto più quando cantano a testa alta di quando, per conformismo, imitazione e indolenza, accettano di stare in ginocchio. E ci sentiamo molto più rappresentati da loro quando intonano, a nome di tutti, Fratelli d'Italia che dai "rossi" quando si appropriano di Bella Ciao e lo celebrano come canto di parte, o meglio partigiano. Ma è evidente che,globalisti del politicamente corretto. Li avvertiamo come nostri molto più quando cantano a testa alta di quando, per conformismo, imitazione e indolenza, accettano di stare in ginocchio. E ci sentiamo molto più rappresentati da loro quando intonano, a nome di tutti, Fratelli d'Italia che dai "rossi" quando si appropriano di HakaHaka , la danza di guerra dei rugbisty neozelandesi e del Pacifico, cantare l'inno a quel modo funga anche da carica agonistica, da sprone alla prestazione e, perché no, da intimidazione dell'avversario: noi giocheremo con la stessa grinta con la quale cantiamo, è il messaggio.rugbisty neozelandesi e del Pacifico, cantare l'inno a quel modo funga anche da
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Nella forza vocale e gestuale di quell'interpretazione c'è pure un valore rituale che attiene a sfere simboliche e scaramantiche: porta bene cantarlo così, devono aver pensato gli Azzurri, iniziare le partite a quel modo è un buon viatico per la vittoria finale. Del resto, partecipazione ed emotiva è tanta anche col messaggio del testo e col contesto in cui nacque: Fratelli d'Italia è figlio del Risorgimento, del tempo cui dovemmo lottare con le armi per riprenderci la nostra Patria e cacciare l'austriaco invasore (e forse non è un caso che gli Azzurri lo hanno cantato con particolare coinvolgimento prima della partita con l'Austria).
Lo stesso spirito marziale è presente nelle parole dell'inno: solo nella prima strofa si cita l'elmo di Scipio, si celebrano le conquiste militari con cui Roma fece la dea Vittoria sua schiava e si fa un appello a stringersi a coorte, l' unità dell'esercito romano. Un inno così va cantato con anima guerresca , non certo con indolenza pacifista. E poi, lasciatecelo dire. Molto meglio sentire gli Azzurri cantare forte e stonare che ricordarli com'erano una ventina di anni fa, quando a malapena conoscevano le parole dell'inno o facevano scena muta. Mameli tiferebbe per i ragazzi di Mancini .