Atalanta, Cristiano Doni: "Gasperini come Ferguson. La Dea? Scelta della mia vita, non solo calcistica"
Ormai è tutto pronto per la Finale di Coppa Italia che andrà in scena stasera, mercoledì 19 maggio alle 21:00 al Mapei Stadium di Reggio Emilia. La Juventus di Andrea Pirlo incontrerà l'Atalanta di Gianpiero Gasperini. Vige già cauto ottimismo per il primo trofeo dell'era Atalanta, soprattutto visto l'attuale contesto di crisi bianconera. La Juventus è chiamata a salvare una stagione intera all'ultima giornata contro un Bologna già sano e salvo. Molto dipenderà dai risultati sugli altri campi delle squadre che si contendono un posto in Champions League. Sicuramente da non sottovalutare CR7 e compagni, abituati a disputare gare secche che valgono un trofeo, mentre l'ultimo (e unico) vinto dai bergamaschi risale al 1963, ed è proprio la Coppa Italia. A lodare Bergamo e l'incredibile cammino da ormai più di un paio di stagioni a questa parte dell'Atalanta, ci pensa un suo ex storico: Cristiano Doni.
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L'ex capitano bergamasco definisce Bergamo come "Amore e passione". Proprio lui che è nato non molto lontano nell'acerrima rivale cittadina Brescia. "Infatti ci pensai a lungo prima di passare all'Atalanta" confida Doni, intervistato dal Corriere della Sera "Ma la corte di Mascetti (allora ds dei nerazzurri) fu incredibile, spietata, mi volle a tutti i costi, mi fece sentire importantissimo, e alla fine accettai. È stata la scelta della mia vita, non solo calcistica" ha detto Doni, aggiungendo: "A Bergamo ho trovato tutto. Io non ho mai avuto una squadra del cuore o una città di fatto mia. Papà, per lavoro, girava molto e così anch'io mi sono ritrovato a lungo a non mettere radici. Invece, oggi, quando mi chiedono di dove sono, rispondo convinto e orgoglioso: sono di Bergamo".
Tra l'Atalanta e Doni è stato amore a prima vista: "Vivo a Bergamo e ci lavoro, e quando posso vado allo stadio a tifare Atalanta. Seguo la squadra sempre, dal vivo o in tv. E in questi sono oltretutto tempi fantastici per il club". E riguardo alla finale di stasera? "Il paradosso è che forse ci arriviamo anche da favoriti. Sia chiaro, la Juve è piena di grandissimi campioni, e quindi può farti male in qualsiasi momento, però anche noi abbiamo raggiunto un livello tecnico e di personalità eccezionali. Siamo un club glorioso, con una storia meravigliosa, eppure abbiamo vinto solo una Coppa Italia, negli Anni 60. C’è grande fermento in città, si respira un’aria elettrizzante, vedo fiducia fra i tifosi".
E sul ruolo di Gasperini all'Atalanta, Doni non ha dubbi: "È la chiave di tutto. Ha dato all’ambiente una mentalità spaventosa, e l’impressione è che ci siano ancora margini di miglioramento. Gasp è già il Ferguson di Bergamo, e sarà un matrimonio ancora lunghissimo secondo me: credo che sia l'obiettivo suo e anche del club". L'ex centrocampista di Atalanta e Sampdoria parla poi del sogno proibito: lo Scudetto. "Da qualche anno siamo al top in Italia. E questo è un periodo di grande difficoltà economica per le grandi storiche, che potrebbero anche vivere una stagione di piccolo ridimensionamento. Sarà un mercato molto difficile, e la gestione fin qui oculata e mirata dell’Atalanta potrebbe fare la differenza nell’immediato futuro".
Nel triste ricordo del Mondiale 2002, svanito tra tanti "errori" arbitrali e polemiche, Doni si avvia verso la conclusione dell'intervista: "Ero un intruso in quel gruppo straordinario. Trap mi amava e giocai titolare le prime due gare. Era un gruppo più forte rispetto a quello che quattro anni dopo avrebbe vinto in Germania: difesa mostruosa, grande centrocampo e in attacco avevamo Totti, Vieri, Inzaghi, Del Piero e Montella. Arrivammo con vari acciacchi importanti — Maldini e Totti non erano al massimo per esempio — e le varie conseguenze dello scudetto del 5 maggio. Ma stavamo crescendo gara dopo gara, e se avessimo superato l’ostacolo Corea credo che poi avrebbero fatto fatica tutti a fermarci, anche il Brasile di Ronaldo e Rivaldo". Doni esprime poi la sua posizione sulla vicenda che lo ha visto coinvolto in calcioscommesse: "Durante l’inchiesta ho subito titoli a caratteri cubitali, la mia assoluzione è invece passata quasi in sordina. Non sono stato uno stinco di santo, lo so bene, ma ho pagato molto di più rispetto ai fatti poi dimostrati".
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