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Champions League, la nuova formula non convince più squadre e troppe gare. E c'è già chi si lamenta

Claudio Savelli
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L'unico obiettivo raggiunto dalla Superlega è l'ombra gettata sulla nuova Champions League. Nessuno l'ha presa seriamente in considerazione fino a ieri, quando l'eco del fallimento dei 12 dissidenti è scemato. Motivo? Il formato scelto dalla Uefa è, se possibile, peggiore di quello pensato dalla premiata ditta Agnelli-Perez, a cui si stava facendo la guerra. Se in duello ti accorgi di avere una pistola finta, meglio non sfoderarla ma alzare la polvere e aspettare la ritirata altrui.

Il primo è criticarla è stato Gundogan, calciatore del Manchester City e della nazionale tedesca. Uno di quelli che usano bene il cervello tanto in campo quanto fuori. Signori, scrive, «intanto possiamo parlare anche del nuovo formato della Champions?». Domanda retorica, risposta pratica: «È solo il minore dei due mali». Ha ragione. La nuova Champions League nasce infatti con un unico principio di fondo, non più nobile rispetto a quello della Superlega: aumentare il numero di partite. Più gare uguale più soldi. È solo meno brutale la forma ma la sostanza è la stessa.

 

 

 

 

Il problema è che l'equazione prescinde dal livello reale di queste partite. A partire dal 2024 (i contratti già firmati per il prossimo triennio impediscono un anticipo), la nuova Champions offrirà 225 gare contro le 125 attuali. Quasi il doppio. Difficile che queste cento in più siano di massimo livello vista la modalità con cui vengono garantite, opposta rispetto a quella della Superlega: anziché restringere ai pochi, la Uefa allarga la platea da 32 a 36 partecipanti. Meritocrazia o necessità? Di fatto coinvolge quattro squadre, sulla carta, meno forti rispetto a quelle già qualificate. «Tutti chiedono più qualità ma il mondo del calcio sceglie la quantità»: Guardiola colpisce il bersaglio. Se aumenta il numero di partite, è ovvio che il valore di ciascuna sia inferiore, sia quello offerto che quello percepito. È decisivo, in negativo, il formato. Dagli 8 gironi da 4 squadre ciascuno si passerà al girone unico a 36. Il risultato pratico è che in ogni giornata della prima fase verranno disputate 18 gare anziché 16.

Per evitare sovrapposizioni dei big match sforeranno anche al giovedì finora dedicato all'Europa League, con buona pace dei mister. Visto che un impegno di 35 partite sarebbe insostenibile, la Uefa si è inventata una modalità tutta sua e tutt' altro che sportiva: ogni partecipante giocherà 10 gare contro altrettante rivali. A volte in casa, a volte in trasferta, comunque mai due volte si vedrà la stessa partita. Questo crea disuguaglianze e scompensi, visto che ogni squadra avrà avversarie diverse, pur concorrendo per una sola classifica.

 

 

 

È servita un'acrobazia per stabilire quali debbano essere le 10 rivali in modo da garantire una parvenza di regolarità. Verrà utilizzata la divisione in quattro fasce attualmente utile a comporre i gironi. Ogni squadra della prima urna sfiderà una sola volta, secondo sorteggio, due parigrado, tre della seconda urna, tre della terza e due della quarta. Il passaggio agli ottavi è un'altra buona scusa per inserire partite: l'accesso diretto è riservato alle prime otto, dalla nona alla 24esima si incroceranno in playoff andata e ritorno da cui usciranno le altre otto. La fase finale, almeno lei, rimane invariata. «La nuova Champions non mi piace, 10 partite con la struttura attuale non sono possibili», dichiara Klopp, allenatore del Liverpool. Assieme a Guardiola è stato uno dei tecnici delle 12 elette ad essersi esposto con forza contro la Superlega. Ora, gli stessi due allenatori remano contro la nuova Champions.

Vuol dire che il problema non è di forma ma di sostanza: qualsiasi sia l'organizzatore, organizza per i fatti suoi, in nome dei soldi. «Le uniche persone che non vengono mai interpellate sono gli allenatori, i giocatori, i tifosi», aggiunge Klopp. È questo il problema: la nuova Champions e la Superlega sono le due teste di uno stesso mostro, due tentativi diversi per risolvere il problema della crisi economica. Nessuno dei due è riuscito. La speranza è che dall'incontro-scontro, che prima o poi dovrà verificarsi, nasca una terza soluzione, se non perfetta per lo meno migliore.

 

 

 

 

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