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Marco Pantani, la drammatica verità della madre a Libero: "Non era solo la notte in cui fu ucciso, perché non è suicidio"

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«Sono stato un po’lontano dalmondo della bicicletta, perché come ben tutti sapete hanno fatto in modo che fosse così. E non ho ancora voglia di smettere di correre perché mi sento di poteree volere decidere del mio futuro senza che lo faccia qualcuno per me, e ad oggi ci sono diverse possibilità. Però, andando a vedere quali sono le mie aspirazioni, mi piacerebbe andare in un gruppo che faccia i grandi giri e le corse di Coppa del Mondo importanti. Inquesto momento c’è qualcosa che sta maturando». Queste le parole di Marco Pantani a fine novembre del 2004, sei mesi dopo aver corso l’ultimo suo giro d’Italia e tre mesi prima di essere trovato morto a Rimini nel residence “Le Rose” all’interno della sua stanza, la 115. Nella stessa intervista Pantani dichiarava, in piena forma fisica e psichica: «Non ho ancora voglia di smettere perché sento ancora l’entusiasmo, la voglia», per poi terminare dicendo: «La cosa che mi rimane da fare è quella di non arrendermi, o comunque di non uscire di scena come vogliono i miei nemici». Possono essere queste le dichiarazioni di una persona che solo tre mesi dopo verrà trovato morto per intossicazione acuta da cocaina e psicofarmaci con conseguente edema polmonare e cerebrale, così come accertato dall’autopsia? «Marco è stato ucciso»: sicura e combattiva da sempre, di questo è convinta Tonina Belletti, la mamma di Marco Pantani, che da quel 14 febbraio del 2004 ricerca caparbiamente la verità su ciò che è accaduto a suo figlio. Sono passati diciassette anni e questa verità pare emersa nel sentimento collettivo, ma non ancora suo piano giudiziario.

Tonina, perché secondo lei suo figlio è stato ucciso?

«Perché lui voleva parlare e far emergere ciò che esisteva dietro al ciclismo in quegli anni».

Mi può spiegare meglio?

«Marco fu squalificato dal giro d’Italia del 1999 per valori alti di ematocrito. Prima di tutto, è stata una squalifica su cui esistono ancora controversie incredibili in quanto Marco, sia la sera che il giorno dopo, aveva valori regolari. Inoltre, e nessuno lo sa, fu proprio Marco,insieme a qualche altro corridore, a proporre e ottenere che ci fosse un limite massimo consentito di ematocrito nel sangue».

Dunque fu lui a costringere di fatto la Federazione a mettere quei limiti?

«Certamente. Fu messo il limite in quanto, prima, si poteva avere qualsiasi tipo di valore senza problemi.Marcolofece perché vedeva che c’erano dei problemi di salute nei ciclisti dovuti al doping, e si batté affinché questo venisse regolamentato e controllato. E sa una cosa? Dopo sei mesi dalla squalifica di Marco, il limite a 50 di ematocrito fu tolto!».

 

 

 

Lei ha sempre dichiarato che quel giorno a Madonna di Campiglio, il giorno in cui Marco fu trovato positivo al controllo anti-doping, fu costruito tutto a tavolino. Perché?

«Innanzitutto perché fu Marco stesso, arrivato a casa dopo la squalifica, a dirmelo. Era sconvolto. Inoltre tutti si controllavano la sera prima il valore di ematocrito, e così fece mio figlio, risultando nella norma. Marco è sempre stato un uomo corretto che si assumeva, da campione, le proprie responsabilità. A Madonna di Campiglio qualcuno volle farlo squalificare. E ci riuscì! Inoltre, le indagini seguenti fecero comprendere come fosse vantaggioso, per qualcuno, distruggere mio figlio».

Lei, Tonina, si riferisce alla lettera a lei inviata da Renato Vallanzasca?

«Anche quello fu un momento importante per far comprendere che ci fu una cospirazione voluta da qualcuno nei confronti di mio figlio. Mi venne detto che il tema era quello delle scommesse clandestine». Ricordiamo che l’8 novembre del 2007 Renato Vallanzasca inviò per l’appunto una lettera a Tonina, in cui il famoso boss della mala milanese sostenne come un suo amico, habitué delle scommesse clandestine (peraltro intercettato al telefono da successive indagini), lo avesse avvicinato cinque giorni prima dei fatti di Madonna di Campiglio, consigliandogli di scommettere sulla sconfitta di Pantani per la classifica finale e assicurandogli che «il Giro non lo vincerà sicuramente lui».

 

 

Ci fu altro, Tonina?

«Mi venne riferito di persone alla partenza del Giro in un ristorante e vestite di scuro che già parlavano della possibile squalifica di mio figlio. Il mondo del ciclismo in quegli anni era spietato, e sono convinta che Marco pagò anche il rifiuto di passare a un’altra importante squadra».

Marco era un grande campione, sarà stato cercato da tante squadre...

«A una in particolare disse di no. E penso che quel diniego fu pesante per la carriera e per la vita stessa di mio figlio».

Marco era innamorato del ciclismo: che cosa diceva prima di quel maledetto giorno della squalifica a Campiglio?

«Ho il ricordo netto e forte di una frase che dice tutto: “Vado a correre conla paura di vincere“. Penso che questa frase sia di una tristezza assoluta. Marco a volte fu sgridato per le sue vittorie».

Da chi?

 «Preferisco non rispondere».

La verità sull’ematocrito alto di suo figlio verrà a galla?

«Credo che sia già emersa nei fatti. Ma lei deve sapere che il ciclismo è uno sport che si autotutela, e sino a quando dei protagonisti di quegli anni, a conoscenza della verità, non parleranno, sarà difficile far emergereciò che successe davvero».

Tonina, l’altra data tragica è quella del 14 febbraio del 2004, quando suo figlio venne trovato morto.

«L’ho detto in partenza:Marco è stato ucciso. Gli hanno tappato la bocca perché voleva raccontare i retroscena nel ciclismo».

Ci sono dei fatti oggettivi in base ai quali dice questo?

«Innanzitutto è impressionante la testimonianza del volontario del 118, il quale ha dichiarato che quando lui arrivò, per primo e insieme ad altre due persone, nella stanza di Marco e vi rimase 45minuti, non c’era cocaina in giro e tutto era pulito. Inoltre, non vide nemmeno il sangue per terra e sul corpo di Marco. Le pare poco? Io sono convinta che non fu ucciso in quel residence, ma altrove. E poi portato lì».

Che cosa non le torna?

«Innanzitutto il modo in cui hanno dipinto mio figlio, un pazzo cocainomane. Marco sicuramente quando cadde in depressione fece uso di sostanze stupefacenti,ma non ai livelli di cui si parlò quando morì. Inoltre, il suo corpo era pieno di botte ed ematomi come se fosse stato picchiato.Perconcludere con la reticenza di tante personea voler parlare per chiarire l’accaduto».

Lei vuole dire il personale dell’albergo?

«Dal proprietario fino alla persona della reception, tutti si sono trincerati dietro un silenzio che nonaiuta a scoprire la verità, ma fa capire come qualcosa di strano sia accaduto. Poi le devo dire una cosa...».

Mi dica, Tonina...

«Un giorno mi venne riferito che una persona, morta poi in uno strano incidente stradale, aveva visto salire gente conosciuta da Marco in quel residence. Insomma, Marco non era solo quella notte».

Che fine hanno fattole persone vicine a suo figlio, come la manager Manuela Ronchi?

«Scomparsa dalla nostra vista.Posso solo raccontare qualche fatto. Appena morto mio figlio, lei mi disse di aprire una Fondazione. Lo feci versando dei soldi ma poi, visto un andazzo che non mi piaceva, dovetti chiuderla, perdendoci denaro. Inoltre, non apprezzai che pochi mesi dopo la morte di Marco fece uscire subito il suolibro, “Un uomoinfuga“».

La compagna di Marco invece la sente?

«Nemmeno lei, purtroppo. L’ho cercata, ma non vuole parlarmi».

È come se tutti avessero paura dell’ombra di Marco?

«Forse è così. Io so solo che mio figlio non mi vuole accanto a lui in cielo, perché devo combattere per lui sulla terra. Marco voleva la verità e io la cercherò per lui, affinché una volta individuati i responsabili io e il mondoli si possa guardare negli occhi».

 

 

 

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