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Jonathan Bachini, il rapporto difficile con le figlie, la Nazionale con Zoff e le due squalifiche per cocaina

Giovanni Terzi
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La storia di Jonathan Bachini è simile a tante altre storie di separazioni tra genitori e di relazione con i figli. Una differenza nella storia di Jonathan Bachini sta nel fatto che le sue figlie sono andate a rimostrare il loro disappunto in televisione, in un noto programma televisivo. «Nostro padre ci mancava», «la porta per lui sarà sempre aperta» hanno raccontato le due figlie di Bachini. «Anche loro mi mancano e la mia porta è sempre aperta". Ma al netto delle intenzioni sono due anni che non si vedono e sentono: perché? Per quale segreto motivo padri e figli vogliono vedersi ma alla fine non ci riescono mai? Una traccia per comprendere questo è nell'intervista al diretto interessato che forse avrebbe amato maggiore riservatezza per poter, forse, risolvere i problemi pregressi.

 

 

 

 

 

«Sono Zlatan anche senza aver vinto tutte le partite. Sono Zlatan quando vinco e quando perdo. Ho fatto più di 500 gol ma ne ho anche sbagliato qualcuno. Pochi. Qualche rigore è andato male, ma il fallimento non è il contrario del successo, ma è una parte del successo».  Queste le parole di Zlatan Ibrahimovic sul palco di Sanremo durante il monologo nell'ultima serata del Festival. Un discorso motivazionale dove una delle parti più importanti, quella in cui molti di noi si sono riconosciuti, è stata quando il campione svedese raccontava come il fallimento fosse una parte e non il contrario del successo. Credo che molti di noi, ognuno nel proprio ambito professionale ed umano, hanno dovuto ricominciare tutto da capo e questo, soprattutto oggi, avviene in una società sempre più fluida dove gli ambiti professionali si sono trasformati in luoghi fragili. Reinventarsi, cambiare lavoro, resistere e trasformarsi sono, soprattutto dopo un anno di pandemia, le parole ricorrenti. Così è successo a Jonathan Bachini, calciatore professionista con un importante passato sportivo in club come la Juventus, il Brescia e l'Udinese. Bachini giocò qualche partita, convocato da Dino Zoff, anche nella Nazionale maggiore; un ottimo calciatore valutato trenta miliardi di vecchie lire. Anche per lui come ha raccontato Ibrahimovic il fallimento diventa parte del successo di aver trovato un nuovo equilibrio. «E poi ho commesso degli errori e sono stato squalificato a vita». La voce di Jonathan Bachini è di una persona che non avrebbe una gran voglia di raccontare nuovamente la sua vita, quella faticosa che l'ha portato a doversi reinventare, ma la cronaca è spietata e l'appello in televisione delle sue due figlie lo obbliga ad una risposta.

Jonathan cosa è accaduto e perché le tue figlie si sono sentite in dovere di andare nel programma di Barbara D'Urso per lamentarsi della tua assenza?

«Credo che in termini di audience parlare delle criticità nelle famiglie serva ad intrattenere il pubblico incollato alla televisione, lo abbiamo visto con l'affaire Zenga; detto questo non mi aspettavo minimamente un comportamento da parte loro di questo tipo».

Però, in qualche modo, ascoltando l'intervista l'obiettivo delle tue figlie era quello di spronarti ad avere un rapporto con loro, cosa ti ha dato fastidio?

«Certe cose, a mio modesto modo di vedere, si risolvono tra le mura domestiche e soprattutto non ridando in pasto la mia vita passata fatta di dolore ad un programma televisivo. Ho rivisto, nel servizio che precedeva l'intervista, gli errori che ho commesso e a cui ho rimediato con umiltà e tenacia. Non c'era nemmeno un tratto di chi sono ora e di quello che faccio perché, come sempre accade , il bene non fa ascolti. Per questo mi sono sentito umiliato».

Di fatto sono due anni che non vedi e non senti le tue figlie. Perché?

«Io ho commesso errori anche da genitore e come sempre mi assumo la responsabilità di ciò che faccio ma loro sanno che, fino a due anni fa, io ci sono sempre stato. Facevo mille chilometri al giorno per poter stare con loro anche se dovevo farmi prestare i soldi della benzina e dell'autostrada da qualche amico per raggiungerle. Tra noi c'è sempre stato un grande amore e penso che non sia del tutto vera la loro narrazione. Ma questo non toglie che mancano anche a me e che sarei felice di poterle riabbracciare».

 

 

 

 

 

E la sua attuale compagna cosa dice?

«È sempre stata favorevole al rivederle e frequentarle. Però mi creda le cose non sono esattamente come raccontate in televisione».

Cosa stai facendo adesso di lavoro?

«Da sei anni lavoro al Porto di Livorno come operaio e prima ho fatto il barista e cameriere. È stata durissima...».

Perché?

«Prima di tutto è stato faticoso affrontare chi mi amava e dovermi giustificare degli errori commessi. Mi vergognavo, sono stato trattato come il Totò Riina del calcio!».

Mi racconti ciò che è accaduto?

«Ho fatto uso di stupefacenti ma non legati alle partite di calcio ma nella vita quotidiana, in modo saltuario e personale. Ad un test antidoping sono stato trovato positivo alla cocaina e sono stato sospeso».

Che anno era ?

«Era la stagione 2004/2005 e il 26 novembre 2004 sono stato squalificato per nove mesi e licenziato dal Brescia, la squadra per cui giocavo. La squalifica viene poi aumentata a un anno dalla Commissione d'appello Federale».

Quindi poi dopo la squalifica torna a giocare?

«Nel Siena ma nel gennaio del 2006 ricado nello stesso gorgo della cocaina».

E cosa succede a quel punto?

«Il Siena nel mese successivo rescinde il contratto ed io vengo dapprima sospeso in via cautelativa, era il 3 marzo 2006, e infine squalificato a vita, con conseguente radiazione, il 30 dello stesso mese».

Come ti sei sentito?

«La seconda volta è stata una mazzata terrificante. Sensi di colpa verso la mia famiglia, i miei figli e nei confronti di chiunque mi volesse bene e avesse riposto fiducia in me».

Ma come mai una seconda ricaduta?

«Credimi per delle leggerezze e delle casualità. Non sono mai stato un "tossico" e non ho mai avuto bisogno di andare in un centro per farmi disintossicare. Era veramente e stupidamente casuale».

E adesso fai ancora uso di sostanze?

«Assolutamente no. Ho, ormai da anni una vita normale dove mi spacco la schiena tutti i giorni facendo l'operaio. Però sono contento di questo. La cosa vera è come il mondo del calcio mi ha trattato...».

Cosa vorresti dirmi...

«Senza fare nomi io credo che ci siano stati tanti ex colleghi che facevano uso di cocaina e mai sono stati radiati a vita; questa la trovo una grande ingiustizia. Anche le persone responsabili di aver venduto le partite non sono state radiate!».

Però lei è riuscito a rialzarsi e a ritrovare un suo equilibrio. È contento di questo?

«Sono sempre stato una persona umile con una gran voglia di risolvere e affrontare i miei problemi. Ho anche avuto la fortuna di avere accanto la mia famiglia e qualche amico...».

 

 

 

 

 

 

Amici nel mondo del calcio?

«Quelli no tranne Edoardo Piovani e Antonio Filippini che ancora adesso sento. Quasi tutti gli altri sono scomparsi».

Ciò che è accaduto a te è eclatante ma ci sono tanti ex calciatori che si sono fatto del male. Perché pensi che accada?

«A volte il successo arriva tanto presto. A ventitré anni ero convocato in nazionale e giocavo nella Juventus, spesso alcuni di noi non sono capaci di gestire tutto questo e, anche momentaneamente, si perdono. Penso però che se io avessi sempre e solo fatto l'operaio tutto questo non sarebbe successo».

Cosa vuol dire?

«Che sono sempre i figli di Zenga o di persone famose che sono richiesti in televisione non altri».

E adesso quale è il suo progetto per il futuro?

«Continuare la mia vita e magari fare ricorso alla Figc per essere reintegrato».

E le figlie?

«Per loro le porte sono sempre aperte».

 

 

 

 

 

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