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Marcello Nicchi, il capo degli arbitri italiani frena sulla riforma delle giacchette nere: "No alle spiegazioni post partita"

Daniele Dell'Orco
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Insomma, in un modo o nell'altro, gli italiani cercano in tutti i modi di passare per quelli che stanno un passo indietro. Anche quando sono (sarebbero) avanti. Il Var, ad esempio, la moviola in campo che ha cambiato volto al gioco del calcio, la nostra serie A l'ha sperimentata per prima (insieme alla Bundesliga tedesca), nel 2017. E tra l'altro, al netto di un po' di caos iniziale, con una certa efficacia. Da quel momento, ogni intervento "migliorativo" l'ha praticamente peggiorata, e gli emendamenti alle normative, alle regole, ai protocolli, ogni anno creano confusione e disparità. Tra Italia ed estero.

Ma talvolta anche tra singole partite dello stesso cambiamento. Siccome il mondo nazionalpopolare del calcio è specchio fedele del comune sentire, anche intorno allo sport più in voga tra tutti si tende a straviziarsi con la più classica delle tendenze antropologiche: spostare l'attenzione. A leggere l'intervista del presidente dell'Aia Marcello Nicchi rilasciata a Radio Rai 1 pare che il nostro calcio sia fermo all'età della pietra poiché non abbiamo una «nostra» Stephanie Frappart. Chi è costei? Un fischietto francese di 37 anni, il primo arbitro donna che abbia mai diretto una gara di Champions League maschile (Juve-Dinamo Kiev). Per inciso, è bravissima. «Ci lavoriamo da prima della Uefa - specifica Nicchi -. Abbiamo 1750 donne, una donna assistente nella Can unificata (Commissione Arbitri Nazionale, ndr) e due donne arbitro in C per le quali il passo successivo sarà la A. Con un po' di applicazione presto ci arriveremo».

 

 

 

 

 

Una frase che sa di complesso di inferiorità. Come a dire: "Tranquilli, non siamo rimasti indietro". Sarà certamente così. Ma perché puntellare i discorsi sulla rincorsa al politicamente corretto rischiando di perdere terreno sul resto? Ad uno sportivo, d'altronde, non interessa che un arbitro sia uomo o donna, ma solo che sia al vertice per competenza e qualità. Gli italiani il Var potrebbero insegnarlo in giro (all'estero tutt'ora si assiste ad episodi circensi), potrebbero addirittura essere pionieri nel suo potenziamento. Invece, di chiamate dalla panchina non se ne parla («l'arbitro lo sa da solo che deve rivedere quello che gli viene suggerito dal Var»), di Sala Var unica a Coverciano non c'è ancora ombra («è ancora in fase di perfezionamento, arriverà»), e no ai fischietti che dopo le partite lascino dichiarazioni pubbliche per spiegare e spiegarsi, chiudendo sul nascere tanti casi («non siamo ancora maturi per questo discorso»). Ci tocca rincorrere anche stavolta, insomma. Così molto presto avremo arbitri di serie A donne. Come gli altri. E il Var a mezzo servizio. Come gli altri. 

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