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Paolo Rossi è morto a 64 anni: addio a Pablito, eroe del Mondiale 1982

Claudio Brigliadori
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Addio Paolo Rossi, eroe del Mondiale 1982. L'ex attaccante di Juventus e Milan è morto a soli 64 anni, da tempo lottava contro un male incurabile. L'annuncio straziante dato dalla moglie coglie di sorpresa il mondo del calcio e i tifosi. Pablito ha legato la sua immagine all'indimenticabile avventura spagnola dell'Italia del ct Enzo Bearzot, che tutto puntò sul gracile attaccante rapinatore d'aria esploso quattro anni prima con il mitico Lanerossi Vicenza di Gibì Fabbri, capace di trasformarlo da ala guizzante a bomber implacabile. Bearzot l'aveva lanciato da debuttante al Mondiale del 1978 in Argentina, con successo. Poi il passaggio al Perugia e lo scandalo del calcio-scommesse del 1980, che lo vide squalificato e gli fece perdere una stagione e mezza.

Passato alla Juventus e rientrato sul finire della stagione 1981-82, Rossi arrivò al Mondiale in condizioni fisiche e psicologiche precarie, ma il Vecio lo blindò a dispetto delle critiche feroci della stampa. Il centravanti degli azzurri era lui, non c'erano discussioni. E dopo un girone eliminatorio chiuso senza gol e la prima gara della seconda fase a secco contro l'Argentina di Maradona, anche Rossi risorge e diventa Pablito. La sua carriera, forse la sua vita sarà per sempre associata alla magica notte del Sarrià, 5 luglio 1982, dove passa alla storia segnando i 3 decisivi gol al Brasile di Falcao, Socrates e Zico. L'Italia doveva vincere per andare in semifinale, Rossi la prende per mano e diventa l'incubo dei brasiliani. Non si ferma più, come gli azzurri: due gol alla Polonia, uno alla Germania al Bernabeu in quella che più che una finale sembrò una formalità. Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, gridò al cielo di Madrid Nando Martellini.

Per tre stagioni Pablito mise a ferro e fuoco l'Italia e l'Europa a suon di guizzi, deviazioni letali, scatti fulminanti. Con la Juve di Giovanni Trapattoni, accanto al blocco azzurro di Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini e Tardelli, e alle stelle Platini e Boniek, vince tutto da assoluto protagonista: due scudetti, una Coppa Campioni (quella maledetta e insanguinata dell'Heysel, contro il Liverpool), una Coppa delle Coppe. Nel 1982, l'anno magico, dopo il titolo di capocannoniere del Mundial arriva il "doveroso" Pallone d'Oro. Nel 1985 il suo fisico, da sempre minato da ginocchia fragili, inizia a frenarlo. La Juve lo cede al Milan del presidente Giussi Farina, che lo aveva lanciato a Vicenza. In rossonero è una stagione tribolata, ma anche qui fa in modo di lasciare il segno, accecante, con un'unica impresa: due gol nel derby contro l'Inter. Chiude al Verona, nel 1987. Da lì in poi la sua è una vita "normale", lontanissima dai riflettori del calcio anche se sarà telecronista e commentatore apprezzato in tv per oltre 30 anni. Gentile, educato, ironico. Leggero come era in campo. Indimenticabile, e non solo per una generazione di tifosi italiani.

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