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Chiesa, "fede" ripagata: perché alla Juventus è l'attaccante ideale per esaltare Cristiano Ronaldo e Morata

Tommaso Lorenzini
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Dalla fascia viola (sul braccio) a quella bianconera (sul campo) è stato un lampo, il flash dell'ultimo giorno di calciomercato, eppure quelle poche ore d'ottobre sono bastate ai tifosi della Fiorentina per scavare un abisso fra loro e Federico Chiesa, il ragazzino allevato, cullato e cresciuto fino a diventare loro capitano proprio in quell'ultima partita giocata al Franchi (scelta comunicativo-sportiva pessima da parte di tutti) prima che, senza neanche sbattere i tacchetti per paura di fare rumore, se ne andasse a indossare i colori dell'odiata Juventus.

 

 

Tutto è successo repentinamente ma a Torino, dove hanno storto la bocca per il cartellino rosso rimediato all'esordio con il Crotone per uno stupido pestone, hanno dovuto attendere due mesi per assaporare il vero Chiesa, travolgente mercoledì sera quando sul palcoscenico della Champions ha segnato (bissando papà Enrico) e mostrato un repertorio degno dell'affare da 60 milioni complessivi (e oltre 3 milioni netti di ingaggio a stagione) per il quale ha scelto di recidere il cordone ombelicale. Avviso ai navigati: forse peccheremo di realismo più del re, ma il livello della Dinamo Kiev vista in coppa secondo noi è da colonna destra della classifica della nostra serie A, non di più. Questo dunque deve invitare a chiedere forti conferme, costanza a questo 23enne al quale oramai ci riferiamo come un veterano visto l'esordio in A a 18 anni e 10 mesi, nel 2016, ma che da allora, anche complici i quattro allenatori avuti a Firenze, ha sempre peccato di discontinuità, la maturazione ritardata dai troppi cambi di progetto tecnico, qualche infortunio di troppo e condizionata da caratteristiche personali che ne sono al tempo stesso pregio e difetto.

IL FILO INTERROTTO
Chiesa è arrivato alla Juve per riprendere il discorso lasciato a metà da Douglas Costa, soldatino capace di grande tecnica, spunto, iniziative personali che si è ammosciato (colpa anche dei muscoli di cristallo), tanto che neppure la cura Sarri lo ha rigenerato. A Federico, Pirlo chiede velocità e profondità; adattamento sulle due fasce; insistenza, resistenza, ampiezza; chiede il sacrificio di saper venire a difendere e l'intuizione di capire quando è il momento di fare l'uomo in più in avanti per stroncare la partita. Un Maestro esigente, Andrea, ma alla Juve è così. Con la Dinamo, Chiesa ha saputo spuntare in verde tutte le caselle del "quiz", ed è sembrato congeniale se non ideale l'assortimento di serata sulla linea di Morata e Ronaldo: tre attaccanti totalmente differenti e complementari, non a caso tutti sono andati a segno e regalato assist, non a caso i movimenti di ciascuno miravano allo sviluppo della manovra in funzione altrui.

E non a caso Dybala non c'era, il che è paradossale perché nell'immaginario l'idea di un lancio illuminante in verticale di Paulo per Federico è cosa buona e giusta: nella pratica, al contrario, la sensazione è che i due possano involontariamente pestarsi i piedi in quella fase e quegli spazi che per entrambi sono seminali, vale a dire il momento in cui si incendia l'azione e si mette in crisi la difesa con un passaggio, un movimento. Problemi di Pirlo, vien da dire, certo che il miglior Federico capace di muoversi in un tridente, o da ala, o da falso trequartista, è una grossa risorsa anche per Mancini in Nazionale. A lui, Chiesa, spetterà il compito di togliersi di dosso certa frenesia, certi dribbling testardi, certe stucchevoli cadute e migliorare nel gioco chiuso. Il derby di domani (ko Demiral per un altro guaio muscolare) sarà occasione per vedere se è davvero ben riposta la Fede in lui avuta dalla Juve, che intanto scavalca il Real e va al 3° posto del ranking Uefa.

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