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Morto Diego Armando Maradona, la tragica fine del più forte di tutti i tempi: ci lascia a 60 anni

Claudio Brigliadori
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È morto Diego Armando Maradona. Addio a quello che viene considerato il più grande giocatore di calcio di tutti i tempi. Il Pibe de Oro si è spento a 60 anni, pochi giorni dopo il suo ultimo e travagliato compleanno: fatale un attacco cardiaco che lo ha colpito mercoledì in casa sua.  La notizia è stata rilanciata dai media argentini, dal Clarin, che nell'attacco del pezzo che nessuno in Argentina avrebbe voluto leggere, scrive: "Il giorno inevitabile è arrivato". Poche settimane fa l'ex mito di Napoli (che trascinò ai due unici scudetti della sua storia, 1987 e 1990), Barcellona e Boca Juniors, campione del mondo 1986 con l'Argentina (e autore forse del gol del secolo, contro l'Inghilterra ai quarti di finale con diabolico slalom da metà campo alla linea di porta) era stato ricoverato in una clinica della Plata, vicino a Buenos Aires, per quello che in un primo momento era sembrato uno stato depressivo legato anche al compleanno e all'ansia per l'epidemia di coronavirus. 

L'operazione al cervello - Pochi giorni dopo, invece, una Tac ha evidenziato la verità: edema al cervello e operazione d'urgenza, andata a buon fine. La convalescenza di Diego aveva segnato alti e bassi, anche a causa del suo precario stato psicofisico. "Ha sostituito la droga con l'alcol", aveva ammesso il suo ex medico personale Alfredo Cahe. "Le sue condizioni oggi ricordano molto quelle di quando fu costretto a ricoverarsi a Cuba per disintossicarsi dalla cocaina. Maradona ha sostituito la droga con l’alcool. Così è ingestibile". C'era chi parlava di balletti euforici alternati a stati depressivi. Alla fine, 60 anni di eccessi di ogni tipo hanno presentato il conto.

Dalle cipolline al Mito - La carriera di Maradona è il compendio di tutto quello che può accadere nel calcio. L'infanzia poverissima a Lanus, l'ingresso nelle Cebollitas, le giovanili dell'Argentinos Juniors a 10 anni e l'esordio coi pro a soli 15 anni, più giovane di sempre. Il salto nel grande Boca Juniors della capitale Baires, con cui conquista nel 1979 e nel 1980 il pallone d'oro sudamericano e dopo aver brillato al Mondiale Under 20 in Giappone nel 1979. Il salto in Europa è obbligato: dopo i Mondiali in Spagna del 1982 (quelli in cui Claudio Gentile gli strappa la maglietta, primo antipasto delle "carezze" della Serie A) su di lui arriva per primo il Barcellona, ma in Catalogna Maradona è frenato dalla droga (è lì che scopre la cocaina) e dagli stopper brutali. Il basco Goikoetxea dell'Athletic Bilbao gli spacca la caviglia con un intervento assassino. Al ritorno Maradona si vendica scatenando con "il macellaio di Bilbao" una rissa clamorosa. Vince Coppa del Re e Supercoppa, ma la sua esperienza in blaugarana finisce qui.

Vedi Napoli e poi godi - A nemmeno 24 anni Maradona sembra un "mezzo campione": talento sconfinato, carattere ingestibile, nessuna voglia di fare vita d'atleta. Ma poi arrivano il Napoli, Napoli e i napoletani. E Maradona diventa un tutt'uno con loro: prende una squadra di metà classifica e anche grazie ai soldi di Ferlaino e alle intuizioni di Luciano Moggi la trasforma in una grandissima d'Italia, in grado di lottare con le big d'Europa (insieme vinceranno una Coppa Uefa nel 1989). Per la prima volta, soprattutto, Napoli trova il riscatto vero nel calcio, in un periodo drammatico della sua storia. Il Sud contro il Nord, i "poveri" contro i ricchi. Una favola sportiva che mescola storia, società, folklore e veleni. Maradona a Napoli è impossibile da riassumere, bisogna procedere per flash. La presentazione in un San Paolo gremito, la punizione impossibile nel 7 da dentro l'area contro la super-Juventus di Platini, i gol da centrocampo contro Lazio e Verona e uno (di testa!) contro il Milan. Cose mai viste col suo sinistro, ma anche con il destro e la testa, intesa come cervello calcistico semplicemente unstoppable. Il primo scudetto nel 1987, indimenticabile, quello perso sul filo di lana contro il Milan di Arrigo Sacchi, che sarà la grande rivalità degli anni 80 italiani e non solo. Fantasia totale, latina, contro l'"ingegneria nucleare" alla olandese. E poi lo scudetto della grande vendetta nel 1990, quello della monetina di Alemao ma non solo. Si arriva ai Mondiali italiani, il canto del cigno di un Maradona sempre più stanco, appesantito, chiacchierato (le sue amicizie con gli ambienti della camorra e del narcotraffico). Eppure decisivo. Segna un rigore nella semifinale vinta ai rigori proprio contro l'Italia, al San Paolo. E poi la finale persa contro la Germania all'Olimpico, dopo i fischi durante l'inno e il famoso "hijos de p***a" urlato da Diego in mondovisione. Di fatto, il Diego italiano finisce quella sera. Nel campionato 1990-91 il Napoli stenta, Diego arranca, segna 6 gol tutti su rigore. E nel marzo 1991 un controllo anti.doping dopo la gara contro il Bari lo frega. Maxi-squalifica e fuga nottetempo. Riprenderà al Siviglia, con poca gloria.

Usa 94, la rabbia e l'addio - Nel 1993 torna in Argentina, al Newell's Old Boys, con un unico obiettivo: giocare il Mondiale 1994. Ci arriva, è in forma smagliante, tiratissimo. Forse troppo, Contro la Grecia segna un gol pazzesco, l'esultanza con lo sguardo rabbioso nella telecamera è il simbolo della sua voglia di rivalsa contro tutto e tutti. Poi il patatrac: altro antidoping, altra squalifica. Senza di lui, l'Albiceleste è svuotata ed esce contro la Romania di Hagi, il "Maradona dei Carpazi". Diego chiude la carriera nel Boca Juniors, poi diventerà con alterne fortune allenatore, fino a guidare la Nazionale ai Mondiali 2010, fallendo. Ma è già "un altro". Il capopolo è diventato leader "antagonista", complottista, spesso sembra vedere fantasmi ovunque. Quando l'unico demone era quello dentro di sé.

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