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Coronavirus in Serie A, lo sfogo di Mattia Perin: "Non datemi dell'untore, poteva accadere a chiunque"

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E' stato il primo ad ammalarsi ma non chiamatelo "untore". Mattia Perin, portiere del Genoa, si sfoga in un'intervista con il quotidiano Repubblica. "Questa è una malattia subdola, la puoi prendere in taxi, oppure schiacciando il bottone di un ascensore. Nella mia famiglia sono tutti negativi. La verità è che in una dozzina di ore cambia il quadro clinico, neppure gli specialisti sanno molto del Covid 19. E sia chiaro che il caos di Juve-Napoli non è iniziato per colpa del Genoa. I calciatori sono «molto scrupolosi. Nessuno toglie la mascherina, rispettiamo regole e distanziamenti, poi è chiaro che in campo veniamo a contatto, è inevitabile". 

"Ciò che è accaduto al Genoa, prosegue, "poteva accadere a chiunque. Di sicuro, se ci fossimo chiamati Real Madrid, Inter o Juventus, saremmo stati rispettati di più. Sia chiaro che la malattia non è mai una colpa, ma un'eventualità che accade agli esseri umani". E "basta", sottolinea, "con i cliché del calciatore ricco, viziato, privilegiato e menefreghista. Ho letto giudizi molto superficiali".

 

E Cristiano Ronaldo che si fa i selfie in mezzo ai compagni senza mascherina? "Si è ammalato lui, si è ammalato Trump, vuol dire che il Covid 19 è micidiale e va preso più che sul serio". Di giocare in una bolla in stile basket americano "con i miei compagni se ne parla, nessuno di noi è così esperto da sapere cosa sia meglio, però qualche sacrificio in più credo sia indispensabile. Giocare ogni tre giorni ci ha consumati dentro. Il calcio non è solo uno svago, un passatempo: come dice Sacchi, è la cosa più importante tra le meno importanti. I miei nonni e i miei genitori avevano un bar in un quartiere popolare di Latina, io sono cresciuto ascoltando discussioni sul calcio e ho capito cosa rappresenta per tanta gente". "Siamo giovani, siamo atleti allenati e ne usciamo bene, però questa è una brutta bestia, subdola. Se dicessi che non mi ha destabilizzato un po', mentire. Noi atleti siamo un po' tutti ipocondriaci, il corpo è il nostro strumento di lavoro e lo vogliamo tarato sempre alla perfezione. Ma se un infortunio lo metti in conto, per le malattie è diverso. E questa è differente da tutte. Infida, come ogni nemico sconosciuto".

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