Roberto Mancini minaccia di andarsene: malumori per Lippi come supervisore alle Nazionali
Ci vorrebbe davvero uno stadio pieno, un po' caldo, con della gente appassionata dentro. Ci vorrebbe ovunque e ci vorrebbe stasera a Firenze, per dire all'Italia del calcio e soprattutto a Roberto Mancini che siamo sempre lì dove ci siamo fermati, contenti, con il sorriso tornato sulle labbra, con la voglia di chiedere quando gioca la Nazionale, contro chi e immaginare quanti gol possa fare. Questa era l'ultima fotografia azzurra dieci mesi fa, dopo che nove (nove!) palloni erano stati infilati nella porta dell'Armenia soli tre giorni dopo i tre offerti a domicilio alla Bosnia, avversaria di stasera: morale, qualificazione europea chiusa con l'inedito score di 10 vittorie, 0 pareggi, 0 sconfitte, 37 reti segnate, 4 subìte. Firmato, ct Mancio. Ed è davvero l'attrazione fatale italiana per i paradossi, per le complicazioni ancora più dannose che inutili che fa sì che il miglior comandante azzurro dell'ultimo decennio, l'uomo che fino a prova contraria ha ricostruito in tempi record dalle macerie di Ventura e Tavecchio, riprenda il timone dovendo superare una bufera che ha rischiato di allontanarlo anzitempo da Azzurra, e che probabilmente non è ancora del tutto passata.
Anche se nella conferenza stampa di rientro ha tenuto a puntualizzare e smentire, Mancini ha davvero preso molto male la vicenda che la Federazione ha provato a costruirgli in testa, cioè il "recupero" di Marcello Lippi nel ruolo di direttore tecnico delle rappresentative azzurre, discusso direttamente col presidente Gravina il 22 luglio scorso. Un credito che Lippi vanta con la Figc dai tempi grami di Ventura, scelto proprio perché sarebbe stato coperto e monitorato da vicino dal ct mondiale del 2006: la "tutela" saltò a causa della norma federale sui procuratore sportivi che sanciva di fatto l'incompatibilità tra un simile ruolo e il figlio di Lippi, Davide, uno dei principali agenti del pallone Made in Italy. Un ostacolo cancellato dal nuovo regolamento sui manager dei calciatori, con la Figc che non ci ha pensato né uno, né due a ricontattare il Totem di Viareggio e a proporgli un ruolo chiave, il tutto all'insaputa di Mancini, trattato come un paria a dispetto dei risultati e della centralità del suo incarico tecnico. Lippi che, da nuovo sopracciò delle Nazionali, avrebbe provato a collocare qualcuno dei suoi pupilli scaldando il più caro, Fabio Cannavaro, per fargli poi prendere la guida degli azzurri quando l'attuale ct lascerà la nave.
PEZZO PREGIATO
Ora, conoscendo il Mancio, pensare di mettergli sopra anche solo pro-forma un uomo che può proiettare un'ombra come quella di Lippi è follia pura: eppure la Federazione l'ha fatto e ora si ritrova in casa un ct nervoso e seccato per il trattamento ricevuto, che si è fatto passare la voglia di dimostrare con i fatti - tradotto: sbattere la porta e andarsene - che il pezzo pregiato è lui, che i supervisori vanno bene per qualcun altro, Ventura, per esempio. «Mai avuto contatti con nessuno», ha fatto muro il Mancio l'altro giorno; ma in realtà un indiretto scambio di informazioni con la Juventus nei giorni agitati che hanno poi portato all'esonero di Sarri c'è stato, gli stessi giorni - più o meno - in cui Antonio Conte, in rotta di collisione con la dirigenza interista, lasciava trasparire qualche azzurra nostalgia, per quella panchina "forse lasciata troppo in anticipo", come ha confidato a più di un giornalista qualche tempo fa. Il triangolo no, non l'avevamo considerato, e comunque non si è realizzato: per fortuna, aggiungiamo. Ancora nel pieno della difficile era-Covid, Mancini ritorna distanziato dalla Federazione: ma resta e rilancia con voglia e veleno: «Sarebbe un peccato lasciare questo lavoro ad altri, possiamo crescere ancora e ripartire da dove abbiamo lasciato». Vai Mancio, e facci un altro piacere: quell'insano palazzo romano lascialo fuori dal campo.