Inter, ecco chi gufa Antonio Conte: retroscena e voci dal cuore del caos nerazzurro
La domanda non è con chi ce l'ha Antonio Conte, anche perché è piuttosto chiaro - la parte della dirigenza presente da prima dell'arrivo di Marotta - ma qual è lo scopo delle sue dichiarazioni al vetriolo nel post Atalanta. Due le ipotesi. La prima, improbabile, è aprirsi una via d'uscita motivata dall'accordo con un'altra società, ma non si intravede una panchina libera con più possibilità di vittoria rispetto a quella nerazzurra. La seconda, più probabile, è continuare, ma solo alle sue condizioni: traducendo l'accusa di sabato sera, sarebbero il taglio di alcuni uomini in seno alla società ritenuti inaffidabili. Si tratta delle famose talpe già menzionate da Spalletti due anni fa e citate dall'attuale mister come ancora presenti («Non è cambiato niente»): non sono stati fatti nomi per lasciare margine di manovra alla società e evitare la gogna pubblica.
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Lo sfogo di Conte era preparato e sarebbero potuti esserlo anche i nomi e i cognomi. In caso di vittoria e di secondo posto (miglior campionato nerazzurro nel post Triplete, chiuso a un solo punto dalla Juve), il mister avrebbe potuto sfruttare la posizione di forza e l'ultima occasione per mettere in chiaro le condizioni per proseguire nel matrimonio: e così ha fatto. Da oggi comincia infatti la preparazione per l'Europa League (mercoledì il Getafe) e, in caso di passaggio del turno, verrà giocata parallelamente alle riunioni di mercato e pianificazione della prossima stagione: c'è poco tempo per organizzarsi, il segnale doveva arrivare forte e chiaro. Quello del tecnico è un all-in. Ora attende che la società accetti la scommessa. Per riuscire a vincere il prossimo anno, secondo Conte, c'è ovviamente bisogno di una squadra più forte, ma soprattutto di maggiore protezione. Il che è traducibile in una presenza più costante e tempestiva nei momenti critici e di un tamponamento alle fughe di notizie: l'episodio di Brozovic che sbraita in pronto soccorso a Milano perché visitino un suo amico, solo per citare l'ultimo esempio, per Conte non sarebbe dovuto uscire.
E qualcuno, quindi, l'avrebbe dato in pasto alla stampa. In sostanza il tecnico ha inviato una specie di "mandato a comparire" a Marotta e al presidente Zhang e ora attende azioni concrete. Che non sono di certo il suo esonero: l'Inter non ci ha mai pensato e mai ci penserà. Primo perché ritiene il lavoro di Conte incompleto ma ottimo: la società crede di poter raccogliere quanto seminato. E poi perché a libro paga peserebbe troppo considerando gli 11 milioni netti di ingaggio e che Spalletti rimane sotto contratto fino al 2021, seppur i 25 milioni dovuti a quest' ultimo e al suo staff siano già stati inseriti nel bilancio della scorsa stagione.
Conte ha alzato i toni nell'ultimo periodo perché lo considera propedeutico alla prossima stagione. Ha fatto il Mourinho, prendendosela con i nemici, solo che se per il portoghese erano soggetti esterni alla società, per l'ex ct sono interni. C'è qualche gufo, quindi, che a suo dire rema contro e che non apprezza il suo modo di fare. È una dinamica normale in un'azienda: chi ci lavora da anni non accetta che l'ultimo arrivato imponga un repulisti. Vista la situazione, iniziano a farsi largo anche i gufi esterni, cioè i possibili eredi della panchina nel caso in cui Conte decida di dimettersi. Lo farà solo se la società non agirà in funzione delle sue parole. I candidati sono due, già più volte citati: Allegri e Pochettino.
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Perché per entrambi l'Inter attuale sarebbe perfetta. Il primo schiererebbe un 4-3-1-2 con Eriksen sulla trequarti, il secondo proprio attorno a Eriksen ha costruito un Tottenham da finale di Champions. Con entrambi, quindi, il danese avrebbe senso. E se è vero che quest' ultimo è un altro dei motivi del contendere tra Conte e dirigenza - non era il centrocampista richiesto, Antonio non sa che farsene e inserendolo nel recupero contro l'Atalanta ha inviato l'ennesimo segnale -, in caso di controrivoluzione ne diventerebbe il perno. Altrimenti potrebbe essere tagliato assieme ad alcuni dirigenti: in quel caso avrebbe vinto Conte. Non un trofeo ma la sua necessaria premessa. riproduzione riservata.