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Toto Schillaci, le confessioni a Libero: "Quando in Nazionale ho gufato i miei compagni dalla panchina"

Francesco Perugini
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Totò Schillaci risponde al telefono dalla sua auto. È reduce dall'ennesima serata di ricordi di Italia '90, il Mondiale che prendeva il via trent' anni fa esatti. L'8 giugno 1990 cominciavano le Notti Magiche di cui l'attaccante palermitano sarebbe diventato stella indiscussa con 6 reti e il titolo di capocannoniere. «La gente si ricorda di me, ma non solo per quei gol. Ero un ragazzo semplice, venuto dal nulla che si è conquistato tutto con la fatica».

Schillaci, ricorda la vigilia di Italia-Austria?

«Non me lo sognavo nemmeno di giocare un Mondiale così strepitoso. Ci avevo sperato tanto durante l'anno con la Juve, ma Vicini mi aveva scelto solo all'ultimo. Entrai a Coverciano in punta di piedi, sono sempre stato molto timido. Cercai di mettermi in mostra e così conquistai un posto in panchina».

Quella da cui si alzò al 75'...

«La partita non si sbloccava, avevamo preso due pali e Andrea Carnevale aveva avuto tante occasioni. Speravo che i miei compagni non segnassero per poter entrare. Gufata? No, è umano aver voglia di rubare il posto ai compagni. In panchina c'erano Serena, Baggio, Mancini, ma Vicini scelse me prendendosi un rischio: "Vai e fai gol". Dopo solo quattro minuti segnai tra due difensori su un cross di Gianluca Vialli. Era destino».

Mancini non si alzò più da quella panchina e ci è tornato da ct. Le piace la sua Nazionale?

«Roberto ha dimostrato di avere grandi potenzialità alla guida dei club. È bello vedere che a Coverciano non ci sono più solo i giocatori dei soliti quattro-cinque club, ma anche di Sassuolo, Cagliari o Brescia. La qualificazione è arrivata, ma attenzione: vivere una grande manifestazione è diverso, devi gestire la paura di sbagliare».

Lei e Baggio non ne aveste contro la Cecoslovacchia...

«Eravamo affiatati, in campo ci cercavamo. Roberto ti metteva in condizione di segnare con il suo talento e io ne approfittavo».

Uruguay, Irlanda e poi l'Argentina, fischiata sin dall'inno l'8 giugno a San Siro nella gara inaugurale dell'evento. Percepivate le polemiche?

«Sentivamo solo la partita, fu una sfortuna giocare a Napoli contro Maradona. Avemmo l'occasione per andare in finale, poi a volte gli episodi ti negano la vittoria».

Quell'uscita di Zenga...

«Zenga fece un grande Mondiale, in quel momento uscì sicuro di prendere la palla e non fu così. Ma sono episodi».

Finì col terzo posto e i rimpianti sul campo, fuori il ricordo di tanti soldi pubblici buttati. Cosa resta per lei delle Notti Magiche?

«Porto con me i ricordi di quei giorni e l'affetto della gente che vivo ogni giorno. Tutti si ricordano di quei Mondiali e mi vogliono bene, nessun tifoso mi ha mai insultato».

A 26 anni quella era stata la sua prima stagione nella Juve nell'anno perfetto del nostro calcio con 3 coppe europee vinte. Siamo lontani da quei livelli...

«Eravamo abituati a vincere, c'era la mentalità giusta. Dovremmo ricominciare a investire, lo fa solo la Juve con l'obiettivo di vincere la Champions. Per me la A resta il campionato più bello al mondo».

Servirebbe un po' di coraggio? Come quello che ebbe lei chiudendo la carriera in Giappone o, negli ultimi anni, mettendosi alla prova in tv o come attore.

«Se c'è una cosa che mi piace la faccio, non dico di no perché sono Schillaci. Il calcio mi ha dato tutto e ho creato un centro sportivo a Palermo per aiutare tanti giovani».

«Aveva una voglia di fare gol che non ho mai visto», disse di lei Franco Scoglio. C'è qualcuno in cui si rivede?

«Sono cambiati i tempi, i calciatori sono più tutelati e hanno visibilità. Bastano 2-3 gol al momento giusto per andare in Nazionale, mentre ai miei tempi ne dovevi fare tanti per guadagnarti la convocazione. Non sarei arrivato ai Mondiali senza segnare 21 gol con la Juve vincendo Coppa Italia e Coppa Uefa».

In quegli anni uno come Mario Balotelli non poteva esserci.

«Lo ammiro come talento, purtroppo ognuno è responsabile dei propri comportamenti. Avrebbe potuto fare grandi cose anche in azzurro».

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