Serie A, Vincenzo Spadafora? Quanto ci costa la retromarcia con un mese di ritardo
La partita tra il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, e il mondo del calcio va all' intervallo dopo una spettacolare rovesciata: «Farò di tutto perché il campionato di serie A possa riprendere in sicurezza.
Allo stesso tempo, però, non vi posso dire adesso se tra un mese o a metà giugno si potrà andare in campo», ammette l' ex grande nemico del pallone in un' intervista al Corriere della Sera. Il «sentiero stretto» per la ripartenza è scomparso di colpo. «L' esempio della Francia» come alternativa all' incertezza non sta più in piedi. I «sondaggi contrari» alla ripresa vengono accantonati. Ora il ministro - che tifava per chiudere il calcio condannando al fallimento tanti club e alla disoccupazione migliaia di lavoratori - si erge a paladino del ritorno in campo. Eppure solo il 3 maggio alle 20.29, scriveva in proposito «non se ne parla proprio». Una rovesciata degna di un vero cannoniere.
Spadafora ha provato a spingere per lo stop precoce del campionato, anche a costo di mettere le sue dimissioni, ma colleghi e alleati di governo lo hanno costretto alla retromarcia. Così il ministro ora prova a prendersi il merito della ripresa, almeno fino alla prossima puntata. Quella che potrebbe andare in onda già oggi, se Angela Merkel dovesse decidere un improbabile congelamento della Bundesliga. Oppure nei prossimi giorni se il Cts boccerà il protocollo della Federcalcio. O ancora nelle prossime due settimane se i contagi dovessero risalire mutando il piano della ripartenza degli allenamenti collettivi, fissata per il 18 maggio. Si è perso tanto tempo e ogni nuovo ostacolo sarebbe fatale in questa corsa contro il tempo.
D' altronde, non è la prima volta che il ministro cambia idea da quando è cominciata l' emergenza. Era già successo in diretta tv l' 8 marzo scorso, a poche ore dal DPCM che la sera precedente aveva autorizzato le partite a porte chiuse. Al momento di entrare in campo, Parma e Spal vennero fermate per un ripensamento dell' ultimo minuto finché la Lega di A sbloccò la situazione (per poi essere accusata di «noncuranza»). Un mezzo paradosso, visto che l' esponente grillino fino a due giorni prima tifava per le partite in chiaro da regalare agli italiani in casa. «Cambieremo la legge Melandri», aveva in seguito risposto Spadafora a chi gli spiegava l' impossibilità di togliere la diretta alle pay tv. Le emittenti che, alla richiesta dell' ultima rata da parte dei club, rispondono ora presentando il conto dei danni: almeno 120 milioni se si ripartirà, 255 in caso di blocco. Una giravolta dietro l' altra, insomma. Niente di nuovo per l' ex presidente dell' Unicef che in politica ha giocato con le maglie dell' Udeur, dei Verdi, della Margherita accanto a Rutelli e, infine, del Movimento 5 Stelle. Promosso a ministro con la nascita del Conte-bis, il suo primo gol sono state le dimissioni di Rocco Sabelli, ad della neonata Sport e Salute. Colpa di «una visione diversa della riforma da quella prospettata» dal predecessore di Spadafora, il leghista Giorgetti.
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