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Gianni Rivera compie 70 anni: "Uno come me non l'ho più visto"

Auguri all'Abatino, Pallone d'oro e simbolo di Milan e Nazionale, ma in guerra con Diavolo e Figc (ed eredi pallonari)
di Francesca Canelli domenica 18 agosto 2013

3' di lettura

Giovanni Rivera, detto Gianni, spegne un'altra candelina. Il Golden Boy di Alessandria, il ragazzo "gracilino" a cui Schiaffino diede fiducia, campione europeo nel 1968 e pallone d'oro nel '69, compirà domenica 70 anni. Il primo scudetto lo vinse a soli 19 anni, l'ultimo a 35. In mezzo le 19 stagioni col Milan, i 168 goal e i tre titoli nazionali in maglia rossonera, la vittoria di 4 Coppe Italia e 2 Coppe dei Campioni. Esordì in Nazionale a 18 anni, nella partita Italia-Belgio. Le imprese, i goal, lo stile di Rivera lo portarono a essere inserito al 20mo posto nella classifica IFFHS dei migliori calciatori del XX secolo, nonché dalla FIFA nella classifica dei 125 più grandi giocatori viventi. Ma la carriera di Abatino, come lo soprannominò la penna di Gianni Brera, non è stata solo rose e fiori. Dirigente del Milan fino al 1986, anno in cui Silvio Berlusconi ne divenne il presidente, ebbe con lui diversi scontri sul piano calcistico e politico. "E' stato da subito evidente - ricorda - che non ci sarebbe stata possibilità di proseguire un rapporto all'interno del club, perché c'era un modo di pensare diverso. Lui è il pensiero unico e se non vai nella sua direzione per te non c'è posto. Lo si è visto anche nella sua attività politica". Escluso dal giro del calcio ("Qualche anno fa potevo andare alla Figc. Poi non se ne fece nulla perché le società preferirono commissariarsi. E' andata così"), Gianni si darà alla politica. Fino al '94 fu esponente della Dc, ricoprendo poi la carica di sottosegretario alla difesa nell'Ulivo, col quale è confluito poi nella Margherita.  La staffetta dell'Azteca - E come non citare la sua rivalità-complicità con Sandro Mazzola a causa anche di quei 6 minuti dell'Azteca, in cui Sandro giocò e Rivera venne escluso. La partita era Italia-Brasile, e Rivera venne buttato in campo dall'allenatore Valcareggi nei sei minuti finali, a tentare il tutto per tutto ed evitare l'inevitabile disfatta.  O il suo grande amico Angelo Gelmini, meglio noto come Padre Eligio, consigliere spirituale del Milan e grande frequentatore di feste mondane.  "Penso sempre al Paròn" - Per la data fatidica l'ex Golden boy non ha in programma feste o banchetti: "Quelle si fanno con gli amici - dice Rivera all'Ansa -. E' solo una data e nulla più, sono passati tanti anni anche se penso ancora volentieri alla mia vita sportiva. Ogni tanto qualcuno mi ricorda qualcosa di quegli anni e sono flash-back che accarezzano il cuore. I compagni, le partite, i ritiri, i viaggi, insomma bei ricordi". A cominciare da Nereo Rocco, suo mentore e maestro: "Mi capita di ricordarlo spesso e con affetto - dice -. Ancora oggi penso alle sue battute, rivedo i suoi sguardi. I grandi personaggi sono destinati a durare per sempre", senza cloni e imitazioni. E la stessa cosa vale anche lui che non ha mai visto altri "abatinì" calcare un campo verde: "Negli anni non mi sono mai rivisto in nessun altro giocatore - ammette - Ci sono stati altri grandi  numeri 10 come Baggio, Del Piero o Totti ma ognuno di loro è un unicum, con le sue qualità e caratteristiche. Un altro come me non l'ho visto. E poi - conclude con una battuta - la copia vale sempre di meno". Francesca Canelli

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