Roberto Palpacelli, il tennista più forte di tutti che si è distrutto con l'eroina
«Ho gettato una carriera, non la vita». Vero: è ancora vivo e neppure lui ha ben chiaro come sia possibile. Lui è Roberto Palpacelli, tennista, tossicodipendente, alcolizzato. "Il Palpa - Il più forte di tutti", recita il titolo del libro scritto con Federico Ferrero (Rizzoli, euro 18). L'antieroe del tennis italiano che, tra mito e leggenda, ora ha deciso di raccontare tutto. In modo crudo, struggente. Non censura niente. Dalla prima striscia di eroina («Il guaio è che mi è piaciuta»), al diluvio di siringhe e fino al giorno in cui, dopo essersi spappolato un mignolo prendendo a pugni la porta di casa, obbligò suo padre a scaldargli la dose nel cucchiaio: «Devo pure vedere mio figlio che si fa le pere». Già, perché «con una mano fuori uso, preparare l' eroina era impossibile». Quando Andrè Agassi - nato come lui nel 1970, il parallelismo si dipana lungo tutto il libro - saliva al primo posto nel ranking mondiale, il Palpa guadagnava il suo primo punto Atp. Questo mentre entrava e usciva dalle comunità di recupero, mentre tutti i circoli tennistici di Marche e Abruzzo prima lo ingaggiavano e poi lo cacciavano per le sue bizze: ogni giorno si fumava quaranta Marlboro rosse, beveva dieci cartoni di Tavernello, due bottiglie di grappa e il suo "bicchierone": metà Campari, metà gin. Anche venti al giorno, «e spesso non barcollavo, riuscivo a colpire la palla». IL NO A PANATTA Il Palpa poteva essere «il più forte di tutti». A 16 anni disse a Panatta e Bertolucci che lui, al centro federale di Riano, non ci sarebbe andato. Preferiva San Benedetto e i "rotonderos", ossia tossici, ultras e scappati di casa della Rotonda Giorgini. Quelli con cui si faceva «come una scimmia». A vent'anni uno dei tanti circoli che poi lo avrebbe cacciato lo spedì in India con 4mila dollari: obiettivo, entrare in classifica, là era più facile. Risultato? «In due settimane avevo guadagnato zero punti Atp, speso quattromila dollari e perso quattordici chili: da 77 ero sceso a 63». Colpa della brown sugar, l'eroina quella buona, quella indiana. Poi c'è la vita da senzatetto, un Daspo di tre anni che si beccò facendo il matto in una trasferta della Samb, una condanna a due anni per aggressione, un arresto cardiaco, un amico che gli crepa al fianco dopo una pera, iniezioni di adrenalina per riacciuffarlo a un passo dalla morte. C'è di tutto. Anche la partita leggendaria contro Ivan Ljubicic, uno che avrebbe battuto Nadal e proprio Agassi. Roberto aveva 26 anni, pochi giorni prima si era bucato davanti a papà, era un tossico vero. Finì 6-7, 6-4, 6-3. Vinse il primo set, «poi iniziai a essere stanco, a fare casino». Ma giocò alla pari con un tennista che sarebbe presto diventato uno dei migliori al mondo, «mentre io a malapena mi reggevo in piedi». IMPRESA A MOSCIANO A 42 anni un' altra impresa: il Palpa trascinò il circolo Mosciano in Serie A, un po' come vedere il Frosinone contro la Juve. Dopo la promozione e la festa in campo, la fuga e altre pere. Altri fiumi di alcol. Ma con lui c'era Enza, la compagna che per salvarlo ha scelto di «fare le barricate e combattere». E dopo quasi 50 anni di vita folle, con il fegato spappolato e l'epatite che stava per ucciderlo, il Palpa si è fermato. Non prima, però, di essere arrivato sbronzo marcio al battesimo di suo figlio. Oggi sono rimasti i due pacchetti di sigarette e il Valium che «aiuta a tenere a freno gli istinti». Una vita da maestro al circolo Dopolavoro di San Benedetto, che non è più «San Maledetto». E due certezze. La prima: «Aver bruciato gli anni in cui ci si costruisce il futuro». La seconda: «Senza il tennis, a quest' ora sarei morto». di Andrea Tempestini