Roberto Saviano nega il blitz di Caivano: "Meloni non combatte la mafia"
Dal palco di Atreju Giorgia Meloni lo aveva additato come il «guru dell’antimafia» che macina soldi sulla narrazione di un’Italia in cui il malaffare imperversa e non si accorge della lotta alla mafia che il governo sta conducendo a Caivano. Citando i risultati del governo contro la camorra, la leader di Fratelli d’Italia gli aveva lanciato un siluro da ovazione nella sala strapiena allestita al Circo Massimo: «Abbiamo buttato fuori i camorristi che occupavano le case popolari a Caivano.
E anche qui i complimenti dei guru dell’antimafia alla Roberto Saviano li aspettiamo domani fosse mai che non c’è più niente su cui fare una serie televisiva milionaria». L’applausometro aveva registrato il top, perché Saviano è uno di quegli intellettuali che non solo la premier, ma tutta la comunità della destra mal sopporta visto che fanno politica e lo rivendicano: non perdono occasione per parlare male in patria e all’estero del Paese dal quale provengono, sebbene qui abbiano avuto tutti gli onori del caso. Lo scrittore di Gomorra, poi, non ha mai nascosto da che parte sta: nel 2020 durante un suo “comizio” a Piazzapulita sui migranti aveva dato della «bastarda» a Meloni e la vicenda era diventata così tesa che prima delle Politiche del 2022, lui stesso aveva dichiarato che se ne sarebbe andato oltre confine in caso di vittoria di Fdi. In realtà c’è sempre stato. E nonostante la sinistra avesse gridato alla censura sul suo Insider, la trasmissione poi è andata in onda su Rai3.
La dittatura di Saviano: criticare Meloni e impedirle di rispondere
Ieri sera Roberto Saviano è tornato in televisione in prima serata: Otto e mezzo, il programma di Lilli Gruber su La7, gli ha offerto una ribalta che l’autore napoletano agognava da tempo. A inizio puntata ecco il frame da Atreju in cui Giorgia Meloni lo sfotte. Gruber gli domanda se si aspettava un tale attacco e questi toni da parte della premier. Lo scrittore risponde a metà tra il vittimismo e il sermone, di cui è maestro. «Mi hanno colpito sia i toni che i contenuti di Meloni. Ogni anno c’è un appuntamento contro di me ad Atreju. I toni sono pesanti perché c’è una strategia precisa: rendere in questo caso uno scrittore, ma molto spesso un giornalista o un intellettuale un rivale politico. In qualche modo è sottrarre il ruolo dialettico della critica e spingerti ad essere considerato l’avversario». Sui risultati del governo in Campania, lo scrittore sotto scorta quasi nega ciò che è stato fatto; ammette che «sono state liberate 36 case su oltre 120», ma dichiara: «Il sistema camorra è intatto e i toni trionfalistici non sono giustificati. Il decreto Caivano ha riempito le carceri minorili rendendole satolle». Sentenzia: «Con quel decreto entri in carcere con un reato lieve e ne esci camorrista».
Insomma, per lui l’esecutivo non sta combattendo la mafia e lo dice piano, con una voce volutamente bassa per marcare la differenza con i toni meloniani, mentre gesticola sulle sue teorie che però il direttore di Libero, Mario Sechi, gli smonta appena prende la parola. Solo su una cosa i due sono d’accordo: gli intellettuali come Saviano fanno politica. Per questo, argomenta il direttore, non c’è da stupirsi che la Meloni replichi a Saviano, che in passato l’ha criticata, dal palco di Atreju: «Fa parte della normale dialettica politica». E poco importa se gli altri ospiti di Otto e mezzo (Monica Guerzoni del Corriere e Massimo Giannini di Repubblica) non la pensino così. Lo scrittore insiste nel dire che contro di lui c’è un «attacco continuo» della premier, «come se fossimo di pari livello, ma non lo siamo; è una sproporzione di poteri. Meloni ha le leve: fare il nome e cognome di persone che non sono in politica significa isolarle, e lei lo sa». L’autore di Gomorra, intanto, fa il nome di un esponente di Fdi coinvolto in un’inchiesta di Brescia sull’ndrangheta e tuona sulla «politica omertosa», ma Sechi lo riprende di nuovo facendogli notare che in questo modo punta il dito contro un’intera comunità di centrodestra.
C’è tempo per due battute sul presidente dell’Argentina Javier Milei (ieri l’intervista del direttore su questo giornale). «Non credo che Meloni si riconosca nel progetto economico del presidente argentino, ma certamente in quello comunicativo. La possibilità di mostrarsi al pari del suo elettore, fintamente vittima del grande sistema: se le cose vanno bene è merito suo, se vanno male è colpa del sistema economico e degli intellettuali che attaccano». Saviano assicura di avere studiato l’Argentina, specie dal punto di vista criminale. Che poi è la sua fissa. Peccato che a furia di vedere del marcio ovunque, non si accorga dell’impegno dei governi nella lotta alla mafia.
La dittatura di Saviano: criticare Meloni e impedirle di rispondere