Chissà chi è, spostarlo o cancellarlo? Nove, tam-tam impazzito: per Amadeus si mette male
Più che una questione di audience, a questo punto, si tratta di un peccato di hybris, di tracotanza omerica tanto avversa agli dei. Chissà chi è che rischia la cabeza. La notizia è indubbiamente cruda e crudele: il programma di Amadeus transfuga dalla Rai continua la sua ineludibile discesa verso l’abisso degli ascolti – passa dal 5.2% di share al 2,8% con 590.000 spettatori, più o meno la metà del suo esordio che era già bassino mentre il diretto concorrente l’ex Affari tuoi di De Martino tocca il suo record di 5.447.000 spettatori e uno share pari al 26%. Ora, andiamo oltre la solita frustra polemica accesa sulla strumentalizzazione politica del Amadeus liquidato da una tv di Stato matrigna e un po’ fascia.
Qui destra e sinistra sono oramai solo monadi infiacchite, argomenti da serata zoppa. Non solleviamo, qui, neppure polemiche sul commento di Warner Bros Discovery, l’editore americano al disastro certificato dall’Auditel. «Continua il nostro percorso di crescita sia in prime time sia in access prime time, anche grazie al contributo di Amadeus che sta incominciando a portare nuovo pubblico sul Nove», questo ha dichiarato Alessandro Araimo, amministratore delegato italiano del gruppo.
È l’uomo che Amadeus l’ha fortemente voluto. Ma è pure l’uomo che ha omesso di dire che c’erano aspettative senz’altro migliori per l’Ama costato 12 milioni per 4 anni di esclusiva; però, se non parliamo di servizio pubblico, ognuno giustamente spende i propri denari come vuole. No. Non indugiamo sulla fiacca retorica dell’«allievo che sta superando il maestro» (a De Martino sulla tv di Stato basta non strafare incastrato in un format leggendario, e il resto viene da sé).
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Non polemizziamo sulla tenacia nell’errore: se, senza ascoltare i tuoi collaboratori, registri in anticipo le puntate senza darti il tempo di analizzare i risultati e raddrizzare un prodotto disastroso; be’, la hybris diventa il centro del tuo racconto. Ma tant’è. Concentriamoci su cosa sta succedendo e cosa potrebbe accadere nell’antro della Warner Bros Discovery, l’azienda proprietaria del canale Nove in cui la regola del profitto non ha soggezioni verso le star.
Lì dentro pare siano incazzatissimi: volano le battute e i sorrisetti glaciali, i dati e le curve d’ascolto. Ama non sta affatto andando come si pensava. Anche a spostare di orario l’altro game di buon successo, Don’t Forget The Lyrics - Stai sul pezzo, il risultato non cambia, anzi. Quella dell’ex eroe di Sanremo appare dunque una lunga, progressiva strada verso il nulla: perché in televisione vige, di solito, la legge di Murphy, se una cosa va male – ma molto male - andrà peggio. Senza considerare che l’access time, tra poco, sarà sempre più affollato con l’arrivo di Flavio Insinna a La7 (costato molto meno di Ama).
Dunque, come si può rimediare al succitato bombardamento di Dresda degli ascolti? Dai corridoi di Discovery tambureggia sempre più l’idea di una soluzione per salvare il salvabile: spostare Chissà chi è alle 21, ed evitare così la dolorosissima sovrapposizione con Affari tuoi. Certo, il passaggio in prime time scardinerebbe il palinsesto del Nove, ma meglio risolvere un problema per volta. Per amor di verità, ripetiamo un concetto già espresso su queste colonne: i risultati d’ascolto sono la gioia e al contempo la maledizione, specie per una tv commerciale. Ma non è sempre quello il punto. I nuovi programmi, in genere, hanno bisogno di fidelizzazione, che significa tempo e coraggio.
Solo Fabio Fazio è riuscito, all’esordio su un’altra rete - sempre il Nove - nel piccolo miracolo di spostare la massa critica del suo pubblico in blocco da una Raitre; che, però, in quel momento, stava subendo un cambio di paradigma narrativo e, al contempo, una crisi d’identità. L’ha fatto anche Maurizio Crozza che fu il primo vero divo a Discovery, e, avendo la primazia (a Mediaset, negli anni ’80, avvenne lo stesso per Mike Bongiorno in arrivo dalla Rai) gli venne concesso il beneficio del tempo messo a disposizione della creatività per generare e consolidare un “qualcosa di completamente diverso”, come dicevano i Monty Phyton. Insomma, spostate il soldato Ama. Oppure.
Oppure ci sarebbe l’altra soluzione, quella dei più coraggiosi: ammettere che il programma mostra lacune grandi come la sua immodestia; e che spicca per un cast di concorrenti anodino e da migliorare; e che si fa notare per una scrittura sciapa e da pimentare. E, dopo aver fatto tutto ciò, e dopo aver mandato in onda la tassa delle puntate già registrate, be’, quel programma bisognerebbe chiuderlo. La tv obbedisce a regole matematiche, ad astuzie strategiche: o agisci subito sulle gambe storte del format, o ti muovi di lì a poco sul palinsesto, o chiudi e riparti con altro.
Lì davanti, in un canale che non può che crescere e sperimentare c’è una prateria. Insistere con la brutta copia dei Soliti ignoti essendo un ottimo conduttore ma senza essere un brand (Fazio e Crozza sono dei brand) può essere un luminoso esempio di seppuku, di suicidio onorevole. Ma non un esempio di buona televisione...
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