Sex Education, una serie "politicamente corretta" solo sulla carta
Nelle ultime settimane che le sono state concesse Michela Murgia ha raccontato, più per immagini che con le parole, cosa sia una “famiglia queer”. Le foto del matrimonio, i filmati di una quotidianità inconsueta. Un’operazione meritoria, al di là delle personali percezioni, perché ha reso con semplicità disarmante un concetto - “queer” - che ai più, me compreso, così chiaro in fin dei conti non era. “Queer” - strano, bizzarro non ha mica a che fare solo con la sfera sessuale, ma con tutto ciò che diverge dalla concezione più comune (la “strana famiglia” della Murgia che elude il legame di sangue).
Ecco, se però ancora non riuscite a mettere a fuoco il concetto di “queer” guardatevi Sex Education, piccolo-grande capolavoro che trovate su Netflix, lo scorso 21 settembre è uscita la quarta e ultima stagione e, va da sé, domina in tutte le classifiche mondiali. Di che parla? In sintesi (eufemismo): siamo nel Regno Unito; Otis è un adolescente incasinato, il padre chi lo vede; la madre, Jean, è una terapista sessuale e ha un secondo figlio per errore intorno ai 50 e non è chiaro chi sia il papà; Jean spera che sia Otis a prendersi cura del bebè per caso; Maeve è l’ossessione di Otis (e viceversa), i due si amano ma c’è sempre qualche casino e dunque picche, la madre è tossica, il fratello è tossico, il padre è sparito e lei è cresciuta in un campo-caravan; Eric è il migliore amico di Otis, è nero, gay, la sua famiglia è molto credente, si trucca, si veste in modo eccentrico, fa morir dal ridere e va a letto con chi gli capita; Otis, che con la complicità di una presa d’aria è cresciuto orecchiando le sedute di mamma, capitalizza il suo sapere sessuale e con Maeve apre nel liceo una sorta di studio terapeutico per studenti; Adam, il bullo muscoloso figlio del preside, dopo essersi portato a letto la più bella di tutte ha un’epifania gay proprio con Eric, ma la storia è travagliata; Jackson, figlio di una coppia lesbica, prima sta con Maeve e poi vacilla con Cal, che è non binaria; Cal inizia a prendere ormoni per la transizione, dà fuori di capoccia e vorrebbe portarsi a letto letteralmente tutto, oggetti compresi; Lily disegna fumetti porno in cui gli alieni ovviamente fanno sesso; Maeve vince una borsa di studio e se ne va negli Usa: addio Otis, che rimasto solo al college ci riprova con lo studio da terapista sessuale.
Peccato che ci sia già lo studio di O, occhi a mandorla e teorica del poliamore. Aisha, Roman e Abbi sono la cricca più influente dell’università, “le Coven"; Roman nasce maschietto ma è trans femmina, Abbi nasce femminuccia ma è trans maschio e i due fanno coppia, vanno in crisi, la crisi la risolve Otis a discapito di O e Otis - che per inciso è assai impacciato e indiscutibilmente eterosessuale- diventa la star del college. In tutto questo casino c’è anche Isaac: è tetraplegico e in sedia a rotelle, ama Maeve, è cresciuto con lei nel campo-caravan, è vendicativo, odia Otis e lo spettatore è portato a detestarlo (strano, no?).
Tutto molto bizzarro, dannatamente queer (non la famiglia che Murgia ha raccontato benissimo, mala dimensione sessuale). Così bizzarro da spalancare un doppio piano di lettura. Premessa necessaria: Sex Education non sarebbe mai uscito - su Netflix - se non avesse una robusta patina di “politicamente corretto”, ovvero non ci racconta mica questo mondo qui per dirci che è un obbrobrio e che “evviva la famiglia tradizionale”. Questo mondo qui certo è pieno di drammi, ma sono narrati con leggerezza e tutto sommato tutto finisce bene. Insomma in questo coloratissimo mondo qui l’amore, in ogni sua forma e combinazione, possibile o impossibile, in qualche modo funziona. Tutto è concesso e tutto è lecito, tutto è normale. Ma è anche un dipinto esasperato, grottesco, caricaturale. Così anche chi non è animato da alcuna vis conservatrice viene spinto in una certa misura ad interrogarsi: come stanno le cose? Quanto c’è di vero? Che limiti si pone chi oggi ha 18 anni? A voi eventuali risposte. Di sicuro c’è che Sex Education - serie “teen” ma solo sulla carta - è splendida. Eppure, paraculissima e illuminata, forse non così “politicamente corretta” come appare.