Marcello Foa contro Stampa e Repubblica: "Se per sovranista intendono questo..."
Marcello Foa, 59 anni, milanese. Giornalista, scrittore e docente universitario. Dal 2020 al 2022 è stato presidente Rai e da lunedì condurrà il programma radiofonico “Giù la maschera” su Radio1. Un incarico che ha suscitato polemiche da quel mainstream progressista che non si arrende al cambio di passo nel servizio pubblico.
“Foa radio sovranista” ha titolato La Stampa. “La destra affida la mattina di Radio1 al sovranista Foa” è il titolo di Repubblica. Lei come interpreta questa etichetta chele viene data?
«“Sovranista” è diventata una sorta di etichetta negativa. Io semplicemente credo nella Costituzione, di cui sono fervente cultore. Il primo articolo parla di popolo sovrano e io credo nella sovranità popolare. Se per sovranista si intende questo, continuino pure».
È rimasto sorpreso dagli attacchi?
«Questo modo di fare giornalismo nei miei confronti da parte di un certo tipo di stampa è ricorrente. Non mi sorprende. Purtroppo si tende ad etichettare le persone, andando a scavare e riprendendo cose scritte o dichiarate anni fa, già chiarite, senza mai interrogarsi sulla qualità della proposta e sull’evoluzione della persona. C’è un modo di fare informazione che tende alla cosiddetta character assassination, marchiare una persona e squalificarla. È una pratica nota che non mi scalfisce più».
Noi invece siamo incuriositi dalla qualità della proposta del suo nuovo programma. Ce lo racconta?
«Il titolo sarà “Giù la maschera. Persone, fatti e notizie alla ricerca della verità”. Un programma che nasce dall’esigenza di spiegare le grandi sfide della nostra epoca. Mi sono reso conto che nel pubblico ci sono domande subliminali di chiarezza che non vengono quasi mai soddisfatte».
Il programma prevede la presenza di voci che potranno garantire pluralismo?
«Assolutamente. Al mio fianco, a rotazione, ho chiamato alcune persone che non necessariamente la pensano come me ma condividono la stessa libertà intellettuale, la voglia di essere oggettivi e avere uno spirito aperto e costruttivo. Peter Gomez che sarà con me il lunedì e venerdì, Giorgio Gandolla de La Verità, Alessandra Ghisleri e Luca Ricolfi».
Oltre all’etichetta di sovranista le hanno attribuito quella di negazionista del cambiamento climatico.
«Oggi è negazionista chiunque si ponga domande».
Lei esce dalla scuola di Montanelli che non amava il coro. Quanto quella scuola di pensiero l’ha influenzata?
«A noi giovani giornalisti dell’epoca Montanelli diceva: “Guardate che quando tutti dicono la stessa cosa, un giornalista vero dovrebbe chiedersi se è giusto ripetere tutti in coro la stessa cosa e ragionare con la propria testa”. È un insegnamento che non ho mai dimenticato e mi ha portato a pormi con questo spirito».
Oggi chi si pone con spirito critico ed esce dal coro viene attaccato e spesso silenziato.
«In questa strana epoca in cui viviamo, porsi così significa diventare automaticamente un eretico. Vieni etichettato come complottista, negazionista. O segui la corrente del pensiero dominante o sei automaticamente sbagliato e finisci sotto le forche caudine di quelli che convinti di avere la verità in tasca ti condannano senza possibilità di appello».
Lei si è sempre definito un liberale autentico.
«Esattamente. Non ho la pretesa di possedere la verità. Su ogni argomento ho le mie convinzioni, ma da liberale mi interrogo sempre se la mia posizione è corretta. E mi piace che al mio fianco ci siano dei professionisti coi quali confrontarsi per dimostrare che è possibile dar vita a un confronto intelligente e costruttivo nella presunzione che il pubblico non sia stupido. Questa è una missione dei media che negli ultimi anni è stata un po’ dimenticata. Chi meglio del servizio pubblico può tentare di adempiere a questa missione?».
Cosa pensa del caso “ Vannacci?”. Ha letto il libro?
«Lo sto leggendo. Al di là di certi giudizi esasperati e contenuti espressi su cui si può essere o meno d’accordo, il libro segnala che c’è una parte importante del Paese che è stanca di quelle esagerazioni che passano dalla “cancel culture” , dal cosiddetto politicamento corretto. Una figura come quella di un generale che esce fuori dal coro e che viene demonizzata , ha provocato l’effetto di ritorno per cui Vannacci è diventato il simbolo di un’Italia che è stufa di eccessi dall’altra parte».