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Prigozhin, Cremonesi ribalta il quadro: "Meglio la fuga a Kiev"

Claudio Brigliadori
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Da tragedia a farsa, nel giro 12 ore. E ora telenovela, in grado di tenere con il fiato sospeso non i telespettatori ma il mondo. Quanto accaduto sabato in Russia, con il “golpetto” di Evgeni Prigozhin misteriosamente terminato all'ora di cena, con un accordo con il regime di Putin ancora assai nebuloso, tiene banco 48 ore dopo nei talk italiani, tutti colti un po’ alla sprovvista quando la rivolta è scoppiata.

Oggi, a bocce ferme (almeno apparentemente) è tutto un fiorire di commenti, ipotesi, giudizi e scenari. L’uno che contraddice l'altro, creando un quadro complessivo che perlomeno lascia comprendere quale caos regni a Mosca e dintorni. Su tutta la vicenda aleggia una atmosfera da spy story anni Cinquanta, in cui i cattivi sono cattivi, ma non del tutto, e i buoni... Beh, i buoni non esistono. E così anche il “patto” con cui il capo della Wagner si sarebbe garantito la pelle con l’esilio in Bielorussia, dopo aver messo a ferro e fuoco l'impero di Putin, non appare così solidissimo.

 

«Prigozhin è meglio che scappi a Kiev – è il paradosso di Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della Sera in Ucraina, in collegamento con L’aria che tira Estate su La7 - e che non vada a Minsk, perché a Minsk lo faranno fuori subito. Prigozhin ha perso e Putin è certamente molto più debole, per la sua incapacità di perdere questa scheggia impazzita che fino a pochi giorni fa era un suo fedelissimo. Prigozhin voleva diventare il nuovo Putin e ha fallito e forse stiamo sopravvalutando il ruolo della Wagner, ben lontana dall'essere l’elemento più forte della macchina russa». Resta l’immagine di un soldato ucraino che sabato seguiva in diretta gli avvenimenti russi via tablet, mangiando del pop corn.

 

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