Gaia Tortora, duro sfogo a Che tempo che fa: "Bastavano 48 ore"
Gaia Tortora, ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa, su Rai 3, nella puntata del 19 marzo, parla del suo libro Testa alta e avanti, che uscirà domani 21 marzo, in cui parla della tragica vicenda di suo padre Enzo Tortora. Un caso giudiziario assurdo e drammatico che vide finire in carcere il giornalista sulle basi delle folli e false accuse di un camorrista.
"Papà era estremamente ironico. Facevano degli scherzi con Piero Angela, con gli altri amici... e pensavo mentre vedevo queste immagini che hanno tolto la possibilità dell'allegria e della leggerezza a un'intera famiglia."@gaiatortora a #CTCF pic.twitter.com/Ca2TEXx68Z
— Che Tempo Che Fa (@chetempochefa) March 19, 2023
La giornalista e conduttrice di La7 ricorda la battaglia giudiziaria di suo padre, le sue parole forti in Tribunale - "io sono innocente, spero lo siate anche voi" - e il ritorno nella sua trasmissione Portobello, ormai stanco e provato, ma con quella frase forte e commovente al tempo stesso: "Dunque, dove eravamo rimasti?". "Mentre vedevo queste immagini pensavo che hanno tolto la possibilità della leggerezza a un'intera famiglia, perché, dopo, nulla è stato più come prima", osserva Gaia Tortora. "Io ai ragazzi più giovani dico quello che dico sempre alle mie figlie: fatevi una vostra idea, non vi fermate alla prima impressione, raccogliete tutti gli elementi prima di farvi un giudizio".
"Soltanto Vittorio Feltri e Piero Angela": Gaia Tortora, lo sfogo sul calvario di papà
"Si pensa sempre che una volta che c’è stata l’assoluzione tutto è passato", aggiunge la giornalista, "ma invece non finisce niente, mio padre diceva: 'se dovessi vedere negli occhi di qualcuno che incrocio un dubbio, mi sentirei morire'". Enzo Tortora venne infine assolto da tutte le accuse ma pochi mesi dopo morì di tumore. "In questa vicenda c’è la pesante responsabilità di una certa magistratura. Quella roba lì che per tanti anni ho chiamato malagiustizia, poi ho capito che era invece una persecuzione: sarebbero bastate 48 ore di verifiche per capire l’assurdità dell’accusa".