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Rai? Il centrodestra non perda tempo: pensi a quali proposte avanzare

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Massimo Bernardini
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Lavoro per il servizio pubblico, per la Rai, da quasi vent’anni, con Tv Talk e altri programmi. Provo ad interpretarlo, da giornalista, autore e conduttore, come un mestiere che rappresenti tutte le anime e le visioni, culturali prima che politiche, dei cittadini cui viene prelevato il canone attraverso la bolletta elettrica. Che ci riesca sempre non è detto, che ci provi ogni volta ve lo assicuro. Per questo mi sento a disagio per quello che dice e scrive, da giorni, l’opinione pubblica di destra sul Festival di Sanremo. Intendiamoci: è tutto legittimo, dal disagio verso certe grossolane provocazioni fatte apposta per ottenere visibilità, al tentativo di dar voce a visioni diverse del mondo. Fino alla volontà, che spetta al nuovo esecutivo nei tempi e nei modi previsti dalla legge, di porre mano alla governance aziendale.
 

IL DEFICIT
Ma sinceramente, nonostante tante personalità che stimo, da Gennaro Sangiuliano a Gianmarco Mazzi, da Vittorio Sgarbi a Marcello Veneziani, insistano nel sottolineare la piena cittadinanza e intelligenza di una cultura diversa, fra l’altro non rivendicando la nascita di nuove egemonie ma semmai la fine di tutte, vedo ancora un deficit profondo, culturale e strategico.Due esempi. Non si può, di fronte all’oggettivo riscontro popolare del Festival misurato credibilmente dall’Auditel, far finta di niente o rivendicare che oltre 10 milioni di italiani di fronte alla tv siano un dato minoritario (e poi magari in commissione di vigilanza usare la stessa clava alla rovescia per attaccare questo o quel programma non gradito). Non si può ignorare che i cosiddetti momenti “trasgressivi” fossero gocce quantitativamente irrilevanti nel mare di un rispettabile (seppur per qualcuno insopportabile) show popolare. Non si può sbianchettare i momenti oggettivamente più larghi e universali del Festival e trasformarlo nella sentina di tutte le possibili “liquidità” sessuali e politiche che qualche anima bella ha gettato nel mucchio per fare rumore (riuscendoci proprio grazie anche a certe reazioni pavloviane).


Un caso invece che sarebbe stato totalmente nelle corde di una destra davvero intelligente è stata la mancata reazione, in termini di meditata riflessione, non solo al dolente racconto di Francesca Fagnani sui ragazzi di Nisida ma anche all’intelligente monologo autoriflessivo di Chiara Francini sulla sua mancata maternità (scritto con Massimo Borghesi, dal suo spettacolo Una ragazza come io del 2022). Paradossale che questa sincera testimonianza, messa in scena anche nella sua confusa incertezza, sia stata offerta al pubblico proprio in un momento in cui si è ormai trasversalmente affermato l’allarme sulla denatalità nel nostro Paese (e su cui la destra ha preso precisi impegni col suo elettorato). Chissà perché questa provocazione, così attuale, non è minimamente entrata nel dibattito sul Festival, al di là di qualche voce dissenziente sui social in nome della superiore riflessione fatta a suo tempo da Oriana Fallaci in Lettera a un bambino mai nato.


FATE COME GABER
Insomma, io rimprovero alla destra l’incapacità di mettere in campo dissensi o contributi davvero importanti, culturalmente fondati. Di cui per esempio era capace, da uomo di sinistra profondamente libero, il Gaber de Il potere dei più buoni, Quando è moda è moda, Destra-Sinistra, Il conformista e, tanto per rovesciare il tema sopra accennato in chiave maschile, de I padri miei e I padri tuoi (andate a riascoltarle). Se non sarà capace di mettere in campo, nella cultura di massa, riflessioni e paradossi almeno del calibro di Gaber e Luporini, la destra che vuole segnare anche culturalmente questo tempo resterà inchiodata al suo puro carattere “reazionario”, alla replica più istintiva e prevedibile. Se davvero ha nuove figure, nuovi pensieri e nuove energie è il momento di metterli in campo. Con la volontà, davvero da servizio pubblico, di aggiungere nuove voci e non di toglierne.

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