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Bruno Pizzul, "cosa invidio ad Adani": la rivelazione sulla Rai

Leonardo Iannacci
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Bruno Pizzul ha una voce sempre al comando quando si parla di calcio. Da un momento all'altro ti aspetti che parta con un «Si gioca alla viva il parroco», «Eeeeh, sulla fascia ha il problema di girarsi...» oppure con un entusiastico «Tutto molto bellooo!»". Resta lui The Voice dei nostri mondiali più belli. Quelli che si giocavano d'estate, con le finestre aperte sui cortili e l'esame di maturità minaccioso, di lì a pochi giorni. Pizzul, 84 anni, sorride compiaciuto all'immagine.

Domenica si gioca la finale Argentina-Francia. Ci perdoni la prima banale domanda...
«La stoppo subito. Tutti vogliono sapere da un signore che di finali ne ha viste e raccontate tante, chi vincerà. Ebbene, io dico 50 e 50».

La Francia ha complessivamente più talento, l'Argentina è più quadrata: lettura corretta?
«È difficile valutare il reale stato di forma con il quale arrivano all'ultimo round. Hanno denotato, entrambe, qualche crepa fisica in alcune fasi delle semifinali».

La domanda delle cento pistole: domenica Messi può raggiungere Maradona come palmares, ma lo vale?
«Non scherziamo. Messi può arrivare ad avere più trofei in bacheca ma Diego era e resta inarrivabile e unico. Era un atleta basso e goffo ma in grado di realizzare, con il pallone, cose contrarie alle leggi della fisica».

Lo sa che Daniele Adani non commenterà la finale dopo essere stato la seconda voce dell'Argentina per tutto il mondiale?
«Guardi, a Daniele invidio quell'entusiasmo persino eccessivo che mette accompagnando le telecronache. È preparato ma molto categorico nei suoi giudizi. Forse troppo».

Sia sincero: che voto dà alle telecronache odierne?
«I ragazzi della Rai sono bravi ma vivono i tempi dei social che hanno cambiato tutto, portando un telecronista ad avere migliaia di informazioni. Troppe. Questo porta a un incaglio: invece di Mbappè o Messi, si va a raccontare per minuti della zia dell'uno o della moglie dell'altro».

Le è piaciuto questo mondiale così criticato?
«Le partite sono state avvincenti anche se non tutte belle. Lasciando da parte il discorso sul Qatar nazione e sui diritti umani lesi, mi sono divertito».

Le squadre più convincenti?
«Direi Croazia e Marocco, le compagini che hanno mostrato un vero calcio d'assieme: ben messe in campo, hanno interpreti poco solisti e al servizio del collettivo».

È calato il sipario sul tiki-taka, grazie al cielo, vero?
«Speriamo. Guardiola, come Sacchi, ha rivoluzionato il calcio con il Barcellona ma i suoi adepti spagnoli lo hanno poi rovinato proponendone un privo di pericolosità. Infatti, la Spagna è andata a casa presto».

I tre giocatori sorpresa del mondiale qatariota?
«Saiss, il leader difensivo del Marocco, il suo compagno Ounahi e l'argentino Alvarez che ha chiarito a tutti chi doveva essere il centrattacco della Seleccion».

Trai mondiali da lei seguiti, quale è stato quello più estetico?
«Direi Germania '74, dominato ma non vinto dall'Arancia Meccanica olandese. Quella nazionale aveva, oltre a Cruijff, altri 7-8 campioni che giocavano secondo istinto e sensibilità personali. Facile fare un calcio totale con certa gente».

E quello meno espressivo?
«Messico 1986. Il mio primo da telecronista degli azzurri. Maradona illuminò la scena ma fu un mondiale scialbo giocato in una paese intristito rispetto a quello che avevo conosciuto 16 anni prima, ai miei inizi».

Fare il telecronista nella Rai degli anni '70 era più soddisfacente?
«Era bellissimo. Nella mitica sede Rai di Milano avevo amici più che colleghi. A cominciare da Beppe Viola. E in quella sede passavano tutti, da Facchetti o Gianni Rivera per un salutino fino a Jean Luis Trintignant, l'attore francese che ci portava vino e formaggio francese per uno spuntino».

Leggenda narra che lei arrivò in ritardo alla prima telecronaca. Vero?
«Era il 1970. Con il grande Beppe Viola era facile dilungarsi in un pranzo. La partita era Bologna-Juventus e arrivai in postazione con 15 minuti di ritardo. Per fortuna non era una diretta, registrai il tutto dopo l'inizio».

Una finale mondiale strofina i nervi anche a un telecronista?
«No. È abbastanza facile: si conosce tutto dei giocatori. Facevo più fatica quando dovevo raccontare una partita del Torneo di Viareggio».

Non ha mai potuto finire una finale con il fatidico «L'Italia è campione del mondo!». Rimpianti?
«Mai perso il sonno per quello. Mi è dispiaciuto soltanto a Italia' 90, lì avremmo meritato di alzare la coppa. Ma c'era Diego di mezzo e non fu tutto molto bello».

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