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DiMartedì, Roberto Speranza umiliato: il pubblico gli ride in faccia

Claudio Brigliadori
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Povero Roberto Speranza. Per due anni, da ministro della Salute, è stato l'intoccabile ospite fisso a DiMartedì, con una specie di rubrica fissa in cui faceva il punto sulla pandemia. Impossibile contraddirlo, il suo era il Verbo. Ora che il Covid è diventato marginale nel dibattito politico, si è trasformato nel giro di poche settimane in un punching ball.

Giovanni Floris continua a invitarlo, nelle vesti di esponente del centrosinistra. Gli chiede conto del futuro del Pd e gli sfottò diventano quasi obbligati. Da segretario di Articolo 1 e alleato dei dem, Speranza commenta il prossimo congresso e sposa la proposta del sindaco di Bologna Lepore di cambiare nome in Partito democratico e del Lavoro. «Interessante e intelligente, il simbolo di un cambiamento».

Floris non si trattiene e lo interrompe: «Vabbè, tipo istruzione e merito». Lo studio ride di gusto, il conduttore pure. E Michele Santoro infierisce: «Hanno messo la "e" tra la "L" se no sembrava Pdl, come quello di Berlusconi».

 

L'ex ministro prova a rispondere ma non ci riesce, perché sghignazzano tutti. E sempre Zio Michele, che ci ha preso gusto, puntualizza: «Le costituenti si eleggono, ora una costituente eletta dai circoli di partito non è una costituente. Ci rendiamo conto che stiamo dando alle sardine la funziona di quando non sappiamo che mangiare e apriamo la scatoletta di sardine. Ma dai». Speranza obietta: «In altri tempi Enrico Berlinguer disse: "Entrate e cambiateci'"». Non l'avesse mai fatto. Santoro, che Enrico lo ricorda bene, se lo mangia: «Ma era un grande partito, non una congrega di famiglie com' è il Pd. Ma come fa a paragonare il Pd al PCI di Berlinguer?». E non c'è neanche una mascherina a coprire l'imbarazzo.

 

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