Propaganda Live, "anche il Papa credeva in Soumahoro": fin dove si spinge Bianchi
Va in difesa, Diego Bianchi, lo Zoro di Propaganda Live, Zoro con una "erre", non come il leggendario spadaccino, e mai come stavolta gli sono mancati il coraggio e la consueta sfrontatezza. Ieri sera, dalla sua tribuna su La7, Zoro voleva difendere il compagno e amico Soumahoro, ma è andato in difficoltà: «In questi giorni ci siamo sentiti, lui non è una figura mediatica, l'ho ospitato solo tre volte...». Insomma, l'ha scaricato a metà. «La destra di solito difende gli indifendibili e se l'è presa con lui», e poi critiche al senatore forzista Gasparri per i suoi tweet. E ancora, Zoro: «Abou è uno dei pochi che nel primo mese ha fatto opposizione. È anche andato sulla nave Geo Barents per difendere i migranti e le Ong». «Certo, noi siamo incazzati e amareggiati, ma per queste accuse ci rimetteranno quelli che sono rappresentati da lui». «Abou è stato ricevuto con la moglie da Papa». Vabbè.
Banalità numero uno: Propaganda Live porta sfiga. Banalità numero due: Diego Bianchi è come un Re Mida al contrario. Il primo toccava cianfrusaglie trasformandole in oro, il secondo confeziona birilli cilindrici di materiale organico. Semplificazione troppo severa: dire che Zoro smerdi in sequenza tutti i personaggi che decide di promuovere in tv è ingeneroso. Pure se, ammettiamolo, dopo il caso Soumahoro inizia a determinarsi una certa frequenza preoccupante. Cos' è allora? Proviamo a metterla giù così. Propaganda ha l'urgenza di scovare una sinistra migliore rispetto a quella di Letta, Franceschini e compagnia bella. Utopica come ambizione. Ma il tutto viene proposto con il sorriso sulle labbra e questo rende meno dolorosa la pippa. Che, in definitiva, ai telespettatori di La7 piace. Dov'è il problema: Diogene delle volte (tante volte, oramai) punta la lanterna sull'uomo sbagliato. Pure colpa un po' sua però. Se Bianchi si innamora di un tipo, lo invita, lo coccola, lo spinge, automaticamente carica a pallettoni le aspettative. Il Messia di turno viene idealizzato. E sparato così in alto che, se casca, non è che si fa male. Si fa malissimo.
Il caso Soumahoro è paradigmatico. Moro, sindacalista, parlata sciolta, estetica "intersezionale", un po' troppo curata per il latifondo, ma ottima per i salotti di via Giulia: «Guardate, quello è fango vero!». Insomma, la redazione di Propaganda Live ha sbarellato: «Ahò, amo trovato Obbama!». E sia. Il colpo di fulmine è databile 8 giugno 2018. Abou sale per la prima volta sul palco della trasmissione. Contesto storico: la sinistra è in crisi di identità (al solito) e al Viminale siede Matteo Salvini. Bianchi sfodera questo jolly inaspettato. Parla di diritti, di integrazione, di inclusione. Cioè, è dio in pratica. Zoro lo incorona subito: "Sei il mio leader di riferimento in assoluto". Marco Damilano, all'epoca dei fatti direttore dell'Espresso, gli dedica la copertina. In contrapposizione con Salvini. Il titolo: «Uomini e no». Il sottotesto: Aboubakar è un essere umano, Matteo chi lo sa. Anzi no, si sa. Cape Canaveral: lancio ultimato. E Soumahoro è rimasto in orbita per tutto questo tempo, a indicarci la strada giusta come una stella cometa. Salvo temporanei planaggi negli Studios di via Tiburtina.
E' l'aprile 2019. Abou racconta la sua storia. Viveva ammassato in un appartamento senza luce (pure lui!), poi andava in bici a raccogliere ortaggi nei campi e lì, vedendo i soprusi subiti dei migranti, ha deciso di rappresentarne i diritti, diventando sindacalista. La zucchina è la sintesi plastica di tutta questa vicenda. Ammesso che il tipo, rivelatosi un po' cazzaro, ne abbia mai staccata una dalla pianta. Troppo malfidati? A questo punto tutto è discutibile. Come suggerisce una vignetta di Federico "Osho" Palmaroli,viene anche il dubbio che sia davvero nero. Il giorno in cui Abou sarà paparazzato davanti a un solarium, lo scopriremo. Torniamo a Bianchi. E' anche responsabilità sua se questa favola è finita in tragedia. Non doveva creare tutto questo fermento. Bastava presentare Soumahoro così: «È un bravo ragazzo, con qualche difetto», invece di spingerlo come un'autorità morale. Ci sarebbe piaciuto lo stesso. Forse di più. Tuttavia le cose sono andate come sono andate. Abou è stato degradato da mito a meme in pochi rapidi passaggi. Mica è finita. Il roster bianchiano annovera altri fenomeni. Prendiamo Rula Jebreal, ad esempio. Se non le avessero fatto credere in tv di essere una "Ayatollah" probabilmente si sarebbe risparmiata certe uscite da unica intermediaria tra l'uomo e la morale assoluta. Vedi il tweet sul padre della Meloni.