Pani e Pesci, Luigino Bruni: "Bollette? Ci pensi lo Stato. E la Meloni..."
L'economia spiegata (bene) dalla... Chiesa. Suona quasi come un ossimoro, visto che fede e denaro non vanno esattamente a braccetto, eppure è questo il sunto del nuovo programma Pani e Pesci, in onda ogni sabato alle 15.15 sul canale Tv2000. A condurlo, in tandem con la padrona di casa Eugenia Scotti, c'è Luigino Bruni, professore ordinario di Economia Politica alla Lumsa di Roma e presidente della Scuola di Economia Civile.
Bruni, mi perdoni, ma che senso ha un programma religioso su tasse, bollette e incassi?
«Ce l'ha eccome! Guardi che il primo homo economicus era quello religioso».
Temo dovrà essere un po' più preciso...
«Il baratto è l'evoluzione dell'idea alla base dei riti religiosi: l'offerta sacrificale altro non è che la moneta di scambio per ottenere favori dagli dei. Inoltre molti economisti del 700 erano teologi, come per esempio Antonio Genovese. L'intreccio tra questi due mondi è fortissimo».
Qual è il valore apportato dalla fede?
«Be', se non ha un'idea di condivisione e di continuità, l'uomo economico puro si mangia tutto nel giorno stesso in cui muore. La religione dà invece un orizzonte etico e morale più ampio quindi, sì, può essere una risorsa importante. Poi, come ogni cosa, dipende da come la si vive. La storia ci insegna che la fede può generare santi così come folli».
Secondo uno studio di Credit Swisse, oggi il 45,6% della ricchezza complessiva è in mano all'1% della popolazione. Siamo quindi tutti diventati poveri?
«La disuguaglianza è sicuramente una forma di povertà. Basti pensare che durante la pandemia gli stipendi medi dei lavoratori dipendenti sono scesi del 5%, mentre quelli dei manager sono cresciuti del +148%».
A questo punto, possiamo dare per morto il famoso ceto medio?
«Il mio auspicio è che si riesca a custodire questa grande conquista, perché tale è stata: la classe media è il frutto del miracolo economico del Secondo 900. Prima non esisteva: fino a quel momento la storia dell'umanità era fatta di classi "estreme", non medie. Nello stesso 800 si respirava una disuguaglianza sociale fortissima, più di quella attuale. Ecco, rinunciare alla classe media vuol dire tornare all'età feudale con un'élite di super ricchi e il resto della popolazione ridotto a uno stato di sussistenza».
In tal senso, il reddito di cittadinanza è stato più un bene o un male?
«L'ideale è che la gente lavori, ma non bisogna essere ideologici e salvare l'idea che occorrano delle reti di salvataggio per le parti sociali più deboli. Senza questo aiuto di emergenza, la pandemia sarebbe stata ancora più problematica: il 70% di chi l'ha ricevuto ne aveva bisogno. Poi, certo, c'è stato un 30% che ne ha approfittato ma questo è figlio del carattere furbo di noi italiani».
Però appunto dovrebbe essere un aiuto emergenziale, non strutturale.
«Sì, ma l'emergenza può essere lunga. Un 50enne con problemi economici e una famiglia devastata non si rimette facilmente a lavorare».
Ad Assisi, il Papa ha promosso un'idea di economia che tenga insieme lavoro, capitale e natura. La conversione green è però economicamente sostenibile?
«Sì, a patto che la transizione sia sostenuta da una forte presenza pubblica e non venga scaricata tutta sulle spalle dei poveri. Non dimentichiamoci la protesta dei Gilet gialli francesi che giustamente dicevano: "Voi pensate alla fine del mondo, noi ad arrivare alla fine della settimana". I costi del green ci sono e sarebbe ingenuo immaginare il contrario. Da qui, il ruolo strategico della politica».
Altro tema: le bollette. Come se ne esce?
«Nelle bollette sono racchiusi problemi antichi, come per esempio la transizione alle fonti fossili, che andava fatta vent' anni fa, e il monopolio nella gestione del gas. A questo punto serve uno shock esogeno: bisogna lavorare politicamente per non dipendere più dalla Russia, per usare nuovi fonti e, non ultimo, le famiglie vanno sostenute dallo Stato. Passare da 200 euro a 400 euro di bolletta, per molte persone significa andare in bancarotta».
Così, a occhio, temo che la Meloni dovrà davvero moltiplicare pani e pesci. Ha consigli da darle?
«Uno solo: ascoltare la gente, mischiarsi con loro. Negli ultimi anni la politica si è fatta troppo prendere da riunioni, talk show, cinguettii social, perdendo la percezione di quello che è davvero il Paese reale. Invece è decisivo che ritrovi il contatto con il pubblico. L'ascolto è una fase importante per chiunque salga al governo».
C'è chi teme un maggiore statalismo con la Meloni: il rischio è reale?
«La destra ha due anime: quella patriottica e nazionalista, che è emersa per esempio con il caso Alitalia, e un'altra liberale, che di certo non è statalista. In genere più Stato e meno mercato era il desiderio della sinistra del Novecento, non certo della destra di Luigi Einaudi odi Berlusconi. Bisogna quindi vedere quale delle due anime prevarrà: diamole tempo, la Meloni ancora deve cominciare».
Qual è il suo auspicio?
«Spero prevalga un approccio non ideologico: sono per il pragmatismo ossia per valutare caso per caso il da farsi. Noi italiani ci siamo lasciati affascinare dall'idea che il privato è meglio del pubblico. Chi l'ha detto? Prendiamo la Germania o gli Usa: hanno tantissimo pubblico e non performano certo peggio di noi. Come dice il Papa, la realtà è sempre superiore all'idea ed è alla prima che bisogna guardare».
Sbaglio o non è allarmato da Fdi?
«Ho speso tutta la mia vita per promuovere un'umanità i cui principi sono diversi da quelli di Fratelli d'Italia, quindi non mi sento a mio agio con questa vittoria. Detto questo, però, per me la Meloni non è certo il demonio né, tanto meno, temo il ritorno del fascismo: sono convinto che ogni persona, se messa nella condizione di fare bene e di avere fiducia, può tirare fuori il meglio di sé».