Non è l'arena, Giletti e il (vero) dramma di Fabrizio Corona, in diretta
Nell'eterna Coroneide, Massimo Giletti ha scritto pagine importanti. Da confessore, quasi amico di Fabrizio Corona, a Non è l'arena su La7 ha mandato in onda di tutto: dalle confessioni pulp dal carcere, fino al ritorno in grande spolvero con contorno di gossip irriverenti e piccanti su questo o quel vip. Ma domenica sera forse ha realizzato il colpaccio documentando lo psicodramma (vero) dell'ex re dei paparazzi. Corona è stato bannato, di nuovo, dai social. Gli hanno chiuso la pagina Instagram, vetrina fondamentale per le sue imprese anche commerciali: un po' influencer un po' pirata (e molto poco signore), l'ex di Nina Moric e Belen si è ritrovato di colpo ammutolito. Letteralmente.
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Nel fuorionda lo si vede sgranare gli occhi, controllare il telefonino e accasciarsi sulla poltrona: «C'ho sessantotto Whatsapp. È stata effettuata la disconnessione, accedi di nuovo», scandisce incredulo. Si alza, nervoso: «Non ci posso credere». Non gli resta che chiedere conferma della mannaia a un suo collaboratore, che al telefono balbetta: «Purtroppo... Tutto bloccato, aspettiamo. È verosimile che si siano messi d'accordo in cento per fare il ban... Cos' avevi pubblicato? La roba di Totti?».
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Si agita insomma lo spauracchio del complotto, in un momento caldissimo come la telenovela del divorzio Totti-Blasi in cui Corona si è tuffato a capofitto. Dal punto di vista televisivo, il video rubato di Giletti è esilarante: siamo nel solco del "falso documentario", i mockumentary che hanno sbancato Hollywood una ventina di anni fa con film horror come Blair Witch Project o Cloverfield. In realtà, il primo a inventarseli è stato l'italianissimo Deodato con il cult Cannibal holocaust. Cos' è vero? Cos' è falso? Cosa è verosimile e cosa solo e soltanto showbusiness? Corona, in fondo, è tutto questo, parafrasando Rino Formica: sangue, merda, soldi e stories. Soprattutto quelle cancellate.