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Dania Mondini, i peti? "No, ecco cosa puzza al Tg1". La denuncia, ombre sui magistrati: un grave sospetto

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Giovanni Sallusti
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Tira un'aria pessima nella giustizia italica, ed è sia la battuta che la notizia. La battuta è fin troppo facile, la notizia è fin troppo surrealista per essere riepilogata con senso logico e compostezza, ma ci proviamo. La Procura generale di Roma indaga per stalking cinque giornalisti: Filippo Gaudenzi (vicedirettore del Tg1), Marco Betello, Piero Felice Damosso, Andrea Montanari (direttore di Radio Rai 3) e Costanza Crescimbeni, all'epoca dei fatti contestati tutti al telegiornale della rete ammiraglia Rai in posizioni di vertice.

 

 

I fatti contestati sono i seguenti: costoro avrebbero costretto la denunciante, la conduttrice del tiggì Dania Mondini, a dividere l'ufficio con un collega particolare. Scelto con perfidia ad hoc per una caratteristica extra-professionale: la difficoltà a trattenere fisiologiche emissioni d'aria. Soffrirebbe sia di problemi di flatulenza che di eruttazione, il redattore con cui la banda dei cinque voleva serrare la malcapitata (usiamo il condizionale perché anche lui, poveraccio, ha diritto alla presunzione d'innocenza). Tanto che ella non si è piegata alla vessazione, non ha trasferito la sua scrivania a fianco del collega olfattivamente molesto, scatenando la rappresaglia dei superiori: commissioni di servizi brevi e banali e scenate al primo errore nella conduzione del telegiornale.

La Mondini produce referti medici che comprovano lo stress patito a causa dei demansionamenti, il pm indaga e decide di archiviare, con la precisazione semantica che al massimo saremmo di fronte a un caso di mobbing e non di stalking (il peto incontrollato costituirebbe insomma una pressione indebita più che una vera e propria persecuzione), ma il procuratore generale ribalta tutto e avoca a sé l'inchiesta. Bisogna andare fino in fondo: siamo in presenza di flatulenza sistematica e rutto libero, il che giustificherebbe le accuse andando a comporre un quadro di oggettiva premeditazione e volontà di nuocere, o quelli del vicino di postazione sono derubricabili a episodi isolati, per quanto poco edificanti, magari anche frutto di abitudini alimentari errate?

 

 

Non è un referto della neurodiliri, bensì il quesito su cui si scervellerà per i prossimi mesi (ma è più facile anni) qualche magistrato italiano. Ovvero, dello Stato ultimo nel continente per durata media dei processi secondo Cepej (la Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa) e che negli ultimi cinque anni ha pagato circa 574 milioni di indennizzi ai cittadini peri ritardi ciclopici. Non esattamente il sistema che parrebbe poter permettersi il lusso di utilizzare risorse, umane ed economiche, per dirimere i contenziosi sullo stalking gassoso (seppur rigorosamente naturale). Invece questo accadrà, e ci piacerebbe (anche se non siamo sicuri sia il verbo adeguato) sapere come, nel concreto dell'inchiesta. Non per morbosità tardo-adolescenziale, ma per focalizzare il dramma fin troppo adulto, oltre che kafkiano, della giustizia all'italiana. Per cui diventa esercizio intellettualmente affascinante immaginarsi l'istruttoria in tutti i suoi passaggi.

Gli interrogatori, ad esempio, della giornalista offesa ma anche del disgraziato offendente malgré lui, incalzato su tempi, modalità e intensità dell'atto colposo. Non osiamo nemmeno addentrarci nel campo delle possibili perizie e controperizie richieste dalle varie parti in causa, ivi compreso il problema nient' affatto secondario della loro riproducibilità tecnica. Le testimonianze dei vari attori in gioco, poi, potrebbero facilmente incorrere nell'oltraggio alla corte, specie di fronte all'eventuale richiesta di riproporre in aula il microclima presente all'epoca dei fatti nell'ufficio condiviso, evidentemente cruciale per individuare la fattispecie del reato. Ci permettiamo solo un consiglio letterario agli inquirenti, che potrebbero trovare utile per districarsi nell'intricata materia il saggio che Jonathan Swift, l'autore dei Viaggi di Gulliver, le dedicò: "Sul beneficio della scoreggia". Il grande autore satirico irlandese sistematizzava tutta una casistica del fenomeno, distinguendo tra la scoreggia morbida, il peto sonoro, la doppia scoreggia. Era sì satira, ma a posteriori impallidisce, di fronte alla cronaca giudiziaria del Belpaese.

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