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Che tempo che fa, sforbiciata Rai al compenso di Fabio Fazio: le cifre in ballo, i calcoli pazzeschi del "Sole 24 Ore"

Francesco Specchia
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 E chi se l'aspettava, Fabrizio Salini manidiforbice. Sprezzante della grande tradizione Rai di sprechi, di dispersione di intelligenze e cachet nonché di monopolio feudale degli agenti nei contratti, l'amministratore delegato con pieni poteri della Tv di Stato ha mantenuto le sue promesse. L'ha fatto in un cda in cui si sono discussi i nuovi palinsesti (che si presenteranno definitivamente i primi di luglio) e nel quale ha, con gentile ferocia, affermato la sua linea di tagli costi e «rinegoziazione nelle ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta e per fattori non preventivabili, come la crisi economica e sanitaria in corso» (veramente la frase è del consigliere Riccardo Laganà, ma il pensiero è di Salini).

 

Salini taglierà dunque i costi superflui e i compensi fuoriluogo; razionalizzerà e armonizzerà l'offerta «valorizzando il più possibile le risorse interne, nel rispetto del pluralismo». E qui c'entra ovviamente anche Fabio Fazio il cui compenso verrà ridimensionato. Secondo Il Sole 24 Ore il programma Che tempo che fa, attraverso la società L'Officina dello stesso Fazio, ha ricevuto 10,64 milioni di euro all'anno, per un totale di 64 puntate stagionali, per la stagione 2017-2018. L'anno successivo la cifra sarebbe scesa a 9,6 milioni. In questa somma sarebbero compresi poco più di 700 mila euro per i diritti del format (cioè alcune persone che parlano attorno ad un tavolo...) versati a Fazio. Al compenso che la Rai paga a L'Officina, vanno aggiunti altri costi per un totale, per ogni puntata della stagione 2018-2019 di 410mila euro.

L'appalto con la Rai avrebbe fatto salire i ricavi della casa di produzione da 3,83 milioni a 11,05 milioni nel 2018. Per carità, Fazio è un indiscutibile professionista, comprovato in tempi di Coronavirus. Ma diciamo che, sul cachet c'è stato qualche problemino in passato che non s' è placato affatto nel presente. Epperò, la Rai rilancia la frugalità e la produzione interna. Trattasi di tendenza già in atto: su Raiuno quest' anno le ore autoprodotte saranno 380 in più rispetto all'anno scorso, su Raidue la produzione interna di programmi cresce dal 54% al 64%. Mentre Raitre conferma il 92% del palinsesto autoprodotto.

Oggi i centri di produzione di Roma, Milano, Torino e Napoli lavorano a pieno regime. E questa è un'altra buona notizia. Che arriva nel solco - forse questo Salini non lo sa - del leggendario "Piano Minoli", un progetto di ristrutturazione di Viale Mazzini che, molti anni or sono, Giovanni Minoli consegnò ai vertici Rai; e che finì, inevitabilmente, per galleggiare in un cassetto dell'allora direttore generale Cappon. Ma Salini ha fatto altro, un gesto rivoluzionario che mai avremmo detto.

 

La novità è la fine del monopolio degli agenti di spettacolo che spadroneggiano sui palinsesti. Rispettando le linee-guida della Agcom e della Commissione Vigilanza, Salini ha fissato la nuova policy sugli agenti delle star, in linea con le indicazioni della commissione di Vigilanza e dell'Agcom. In particolare, «un singolo agente non potrà rappresentare più del 30% degli artisti di una stessa produzione e non potrà curare gli interessi di artisti di programmi da lui prodotti». Cioè: per garantire il massimo di correttezza e trasparenza, si ridimensioneranno di molto le figure degli padroncini pluripotenziari che gestivano contemporaneamente uomini e programmi da loro stessi griffati. E su questo, onestamente, non avrei scommesso un euro bucato. Anzi, a dirla tutta, mai mi sarei aspettato una presa di posizione così netta da parte di Salini finora considerato, politicamente, un ottimo galleggiatore. Sembra di essere tornati ai tempi della direzione generale di Agostino Saccà: ascolti e idee alate inversamente proporzionali ai costi... 

 

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