Se il coprifuoco riservato ai soli uomini immaginato da Shawn Christensen, il regista di Curfew, non sembra scandalizzare una parte dei media e della stampa italiana, è invece il mondo dei social a mostrarsi particolarmente colpito. La serie in sei episodi, disponibile in streaming su Paramount+, propone una visione distopica di una realtà ipotetica in cui, per garantire la totale sicurezza delle donne, gli uomini- oltre a essere monitorati tramite cavigliere elettroniche - sono costretti a un coprifuoco sette giorni su sette, dalle 19.00 alle 7.00. Una misura che, a causa della pandemia, anche il mondo reale ha imparato a conoscere e con cui, volente o nolente, ha dovuto familiarizzare. Ma torniamo al nuovo prodotto britannico. Emblematica la scena d’apertura del primo episodio: giovani donne camminano spensierate, indisturbate, indossando tacchi e minigonne. Del resto, se ne infischiano degli sguardi degli uomini, che costretti dietro le loro finestre non possono fare altro che osservare da lontano, come animali da circo dentro a una gabbia. La storia è ambientata a Londra, dove, davanti al “Centro per la Sicurezza Femminile”, avviene il brutale omicidio di una donna. La detective Green deve destreggiarsi tra le polemiche dell’opinione pubblica e la ricerca dell’assassino, che per l’investigatrice non può che essere un uomo (niente spoiler).
Nella serie, ispirata al romanzo After Dark di Jayne Cowie, gli uomini vengono dipinti come anime primitive, violente e incapaci di vivere all’interno di una società civile. Oltre alle misure punitive come il coprifuoco, ci sono anche quelle preventive: ai cittadini di sesso maschile è consentito andare a convivere con il proprio partner solo previa apposita domanda e dopo un’accurata serie di colloqui psicologici. Anche queste scene ricordano i tempi della pandemia, quando per poter fare visita al proprio fidanzato bisognava dimostrare di essere davvero “congiunti”. La serie ruota intorno a una domanda precisa: «Se togliessimo il coprifuoco, come proteggeremmo le donne?». Non è chiaro se l’intento di Curfew sia quello di avallare il pensiero femminista della cosiddetta quarta ondata, che vede nel patriarcato l’origine di ogni misfatto, o se al contrario voglia invitare il pubblico a riflettere su quanto sia facile costringere un’intera comunità a seguire regole apparentemente folli. Del resto, abbiamo vissuto sulla nostra pelle l’esperienza del coprifuoco e, al di là di una certa fetta di persone, la maggior parte dei cittadini è stata ben felice di obbedire a tale imposizione, tutto in nome del bene collettivo.
SPECCHIO DEI TEMPI
Curfew è lo specchio dei tempi che corrono. Viviamo un’epoca storica in cui la maggior parte dei temi sociali viene portata all’esasperazione, e non stupisce dunque che l’argomento sia diventato oggetto di dibattito socio-culturale. A stupire, invece, sono i commenti di chi, sui social, si è quasi sentito rincuorato dall’idea di vivere in un mondo dove la vita degli uomini perde ogni valore: «Cercate di convincermi del perché non dovrebbero farlo anche nella realtà», «Un mondo così, grazie», «Sì, ma fatelo nella vita reale». Per quanto ironici e innocui possano sembrare, questi commenti mostrano come la linea tra finzione e realtà sia labile, ormai quasi impercettibile. Ma scherzare con il fuoco, talvolta, significa bruciarsi. Non sembra così impossibile pensare che, a seguito di un malcontento comune o del diffondersi di un certo tipo di propaganda woke, si possa arrivare - tra qualche anno - a proporre misure simili, se non identiche, a quelle mostrate nella serie. Come dicevamo, abbiamo già visto con quanta facilità i cittadini si siano adattati a imposizioni straordinarie. Insomma, se per molti l’idea di una città in cui vige il coprifuoco per soli uomini resta una rappresentazione surreale ed estremizzata di una realtà ipotetica, c’è chi, al contrario, ne è rimasto totalmente affascinato. E forse questo è il primo sintomo di una distopia generalizzata, generata da un certo tipo di messaggi e slogan culturali.