Sanremo 2025, lasciate che Masini canti "Bella stronza"
Ad appena diecimila giorni dalla prima volta della “Bella stronza” di Marco Masini, con tempismo svizzero, ecco l’indice accusatorio sulla canzone che sarà riproposta in uno degli strati del millefoglie canoro del Festival di Sanremo. Silvia Grilli in un editoriale su Grazia invoca giustizia, censoria, sulla canzone che addita a quintessenza di quello che non si fa, non si dice e non si pensa. Invece si pensa, si dice e purtroppo a volte si fa pure, perché la vita reale non è la vita ideale e il mondo non è l’Arcadia, come già appena ventidue secoli fa aveva scritto Terenzio: niente di quello che è umano ci è estraneo. È accaduto e accade nell’arte, figurarsi nello spettacolo e nell’intrattenimento.
È arduo sostenere che il testo crudo ed esplicito del 1995 di Masini e di Giancarlo Bigazzi, che non sono Dante e neppure Boccaccio e neanche pensano di esserlo, possa essere incentivazione o scrimine di atti e comportamenti da codice penale, maschilisti e patriarcali. Se si passa tutto dal filtro del politicamente corretto e del correttamente etico, allora meglio chiudere baracca e burattini, e magari pure il Festival di Sanremo, perché “Papaveri e papere” sono da tempo passati di moda e il “Binario” del woke porta dritto a schiantarsi sul muro dell’ipocrisia. Le canzoni non descrivono la realtà, o forse la esprimono o ne danno una rilettura come viene viene. Mina cantava di una donna che si concedeva a un uomo che non amava più con “L’importante è finire”, Raffaella Carrà entrava in tutte le case degli italiani esaltando quanto fosse bello far l’amore da Trieste in giù e, finita una storia con un uomo, altro giro di valzer. Persino il marpione Renzo Arbore ha fatto del clarinetto e della chitarrina qualcosa di diverso, senza peraltro incrementare né il libertinaggio né le iscrizioni in conservatorio.
Altri tempi? E i Måneskin con “I wanne be your slave” parlano forse di un inno alla sottomissione o alla tratta sessuale? Talmente poco serio da non poterlo prendere sul serio. Verrà anche il momento in cui sarà svelato anche il segreto meglio custodito della storia: le favoleggiate confidenze esplicite tra donne sui loro uomini. Dalla “Filosofia nel boudoir” del marchese De Sade ai racconti femminili del letto e del fugace divano. Ennio Flaiano fornì un contributo al dizionario del cinema del suo tempo coniando il termine di attrice “spaccadivanetti”, e nella definizione si limitò elegantemente a chiosare: «come e perché è chiaro». Oggi lo farebbero a pezzi. Lui, non il divanetto.