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Povera Rose Villain, la cantante per colpa di Trump e Meloni è senza patria

Francesco Storace
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Il mappamondo è la soluzione. Rose Villain, che presto ammireremo a Sanremo – perché al successo non si rinuncia mai – si deve sentire come quelli colpiti da mandato di cattura della Corte penale internazionale. Qui posso andare, lì non posso. Però sempre in mezzo ai piedi sta. Ma è proprio necessario che chi attrae pubblico perla propria voce debba anche indottrinarci con la politica? Non abbiamo già il nostro bel daffare con i signori del Palazzo?

All’Ariston dovrebbe essere musica e non comizi. Ma lei, Rose, ugolerà e per restare nel conformismo vippaiolo di sinistra ci deve per forza far sapere che non vuole più vivere nell’America di Trump e che pure l’Italia della Meloni le sta stretta perché non ci si sente tutelata. Dal concorso per le voci migliori a quello per trovare una Patria per Rose Villain. Che forse sta dalle parti del Nazareno. Un po’ piccolina da vivere ma lì almeno – dice nelle sue interviste, ultima quella a La Stampa – troverebbe Elly Schlein, che «ha a cuore le minoranze e questo mi interessa». Che cantante tenera...

 

 

 

Provenienza milanese, la cantante staziona a New York dalla bellezza di 14 anni. E ora è disperata: «Ho già sofferto la prima amministrazione Trump ma questa volta ho l’impressione che sia molto peggio». Raucedine? No, politica. E insiste: «Mi viene da piangere, ma capisco che in un momento come questo si scelgano i bulli perché fa meno paura stare con loro», con queste parole incantevoli dipinge Donald Trump. L’artista vittima si chiama Rosa Luini, ha 35 anni, ed è figlia dell’imprenditore milanese Franco Luini. «Quattordici annidi vita vissuti a New York non sono passati invano – prosegue la cantautrice tutt’ora ho casa e vivo lì buona parte dell’anno». Il modello Saviano furoreggia.

«Quando fu eletto Biden tutti scendemmo per le strade a festeggiare, oggi non c’è nulla da festeggiare ma al contrario faccio fatica ad immaginare, semmai diventerò mamma, come si possa crescere un figlio in quella società». Povera signora, non sa noi in Italia. Eh già, Rose ne ha anche per la Meloni: «Qui non è che vada benissimo. Sento molto scontento fra i miei coetanei e sono una donna che tiene tantissimo ai diritti umani, con questo governo non mi sento tutelata». E da cosa deve essere tutelata sul palco di Sanremo? Dai suoi bodyguard?

Se l’America e l’Italia sono così detestabili per aver scelto democraticamente la loro leadership, l’Atlante geografico può aiutarla a trovare sedi più rispettose dei diritti umani, tra Iran, Russia, Cina, Afghanistan, Cuba, per restare a quelle più note ai palati sensibili.È davvero un peccato esibirsi a Sanremo con il patema d’animo, quasi a sentirsi una prigioniera politica. Chi ci sarà tra le poltrone dell’Ariston, la gendarmeria del regime?

 

 

 

Eppure, proprio chi vive in America dovrebbe far tesoro di quanto è successo alle recenti presidenziali, quelle culminate proprio con il ritorno di Trump. Lì, prima del voto, praticamente tutti gli artisti, in una sorta di democratica Hollywood, si sono scatenati al fianco di Kamala Harris, con l’immancabile certezza della vittoria. Ma hanno perso assieme a lei le elezioni e il sorriso e da allora vedono solo cupo. Non conoscono il popolo a cui offrono le loro canzoni; ignorano i problemi di chi ascoltandoli pensa solo a distrarsi e non ai giochi di Palazzo. Ma sperano così di salvare l’anima. E uccidono la musica.

 

 

 

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