Gli Oscar sono contro Donald Trump: ecco chi hanno candidato
Tra un mese e mezzo (l’11 marzo per la precisione) il premio Oscar compie 96 anni. Nel lontano 1929 la statuetta finì nelle mani di un’attrice che non la meritava (Norma Shearer). La prima statuetta e la prima ingiustizia, scrissero quelli che ne capivano di cinema. Chissà cosa scriveranno dopo l’11 marzo se ad aggiudicarsi la vittoria sarà Karla Sofia Gascon che in Emilia Perez fa una transgender e difatti lo è veramente. In Emilia è brava ma non straordinaria. È difficile non pensare che tutti gli onori che hanno accompagnato il film (l’altra settimana il Golden Globe) siano il tributo a un argomento (il cambiamento di sesso) molto in voga secondo i fautori del politicamente corretto.
Comunque mettiamo le mani avanti. Se Emilia vince l’Oscar (conduce la classifica delle nomination con 13 candidature) se lo merita perchè è un filmone come raramente se ne sono visti nell’era del post Covid. Il francese Jacques Audiard ci ha messo dentro tutto: il melodramma e il musical, il film gangster e naturalmente gli interrogativi sul cambio d’identità sessuale. Comunque (per meriti o per moda) la marcia di Emilia Perez verso l’Academy award si annuncia facile e trionfale. Chi la può contrastare?
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Non A Complete unknown, biografia di Bob Dylan, non Conclave (già noto al pubblico italiano). Men che meno Wicked il musical tratto dal Mago di Oz. Il solo rivale possibile The brutalist con Adrien Brody (candidato come miglior attore). The Brutalist ha i meriti: a Venezia ha vinto il premio per la regia. E anche una fortissima carta da giocare, la più forte in quasi un secolo di riconoscimenti. È un film sull’Olocausto: il protagonista è un architetto scampato ai lager nazisti. Un argomento che nei decenni s’è sempre mostrato decisivo presso le giurie dell’Oscar. Rivedere per credere il caso di Steven Spielberg che dovette fare Schindler’s list per mettere le mani su una statuetta che per vent’anni gli era stata sistematicamente negata.
Dunque vince quasi sicuramente Emilia Perez. Dunque vince (probabilmente) il trans Gascon. Anche nel suo caso c'è una forte concorrenza. Come la sudamericana Fernanda Torres, eroina di Io sono ancora qui. Come la rediviva Demi Moore nel geniale thriller Substance: dove non è il sesso a cambiare ma il fisico, una giovinezza ritrovata inopinatamente anche se temporaneamente. Gli interpreti maschili. Qui, come al solito, la battaglia è aspra. Perchè i cinque finalisti sono tutti bravi, anche se non è detto che vinca il migliore. Il migliore secondo noi è il giovane Sebastian Stan che in The apprentice fa decisamente un salto di qualità rispetto a prove precedenti.
Nella parte di Donald Trump giovane delinea un personaggio certo esecrabile (il regista Ali Abbasi non ha certo votato per il tycoon) però plausibile, coerente. Riesci a capire perché è arrivato tanto in alto, i mezzi con cui è arrivato sono a dir poco discutibili, però la vetta è stata raggiunta, non inaspettatamente. Certo, se Stan vince, Hollywood avrà dimostrato di non esser certo contenta della scelta dell’America, ma è probabile che dal suo Olimpo a Donald non glie ne importi più di quel tanto. Che Stan vinca o meno, la scelta può essere discutibile, ma non lo è se il riconoscimento per il miglior non protagonista va a qualcuno che non sia Jeremy Strong. Strong in The apprentice fa il mentore del giovane Trump, l’avvocatoCohn (morto di Aids e radiatissimo dall’albo degli avvocati).
Nei panni di Cohn, Strong si divora il film e valorizza al massimo le battute dello splendido copione di Gabriel Sherman («Vuoi vincere? Attacca, attacca attacca. Se perdi non ammetterlo mai»). La scena in cui Cohn racconta la sua parDa sinistra in senso orario: Sebastian Stan, candidato come miglior attore peril film su Donald Trump The Apprentice; Isabella Rossellini, non protagonista di Conclave; Timothee Chalamet nel ruolo di Bob Dylan nel biopic A complete Unknown; Carla Sophia Gascon, protagonista di Emilia Perez. Non ce l’ha fatta Vermiglio, il film di Maura Delpero. I 5 nominati per il miglior film straniero sono: Emilia Pérez, The girl with the needle, Io sono ancora qui, Flow - Un mondo da salvare e Il seme del fico sacro te nella condanna per spionaggio ai coniugi Rosemberg è di quelle che ti mettono un brivido nella schiena ma ti riconciliano col cinema. La concorrenza comunque è agguerrita (ma per noi non travolgente). C’è Guy Pearce che fa in The brutalist il magnate che sponsorizza l'architetto scampato ai lager. E Edward Norton che in A complete unknown ruba spesso la scena al protagonista, il molto sopravvalutato Timothee Chalamet (che fa Dylan).
Le non protagoniste. Una categoria che spesso dà l’occasione per grandi interpretazioni (quante rinomate caratteriste hanno avuto un bel balzo di carriera dalla statuetta)? Ma che quest’anno è stata predisposta con criteri abbastanza discutibili. Che senso ha mettere tra le secondarie Zoe Saldana che in Emilia Perez ha il vero ruolo principale (è l’avvocatessa rampante che assiste il trans nel suo percorso)? Che senso ha mettere nella cinquina Isabella Rossellini, ben poco memorabile (difatti ce l’eravamo scordata) nella parte della suora in Conclave? Uniche ragioni possibili. Zoe è stata retrocessa per lasciare via libera alla Gascon nella categoria principale e la Rossellini è stata la musa del da poco scomparso David Lynch. Portarla sul palco dei premi può essere sembrato un modo per onorare una grossa perdita.
Ultime note (spiacevoli). A parte la Rossellini, nemmeno un nome italiano nelle nomination. Neanche per un momento abbiamo pensato che Vermiglio avesse delle chances. Un’operina aggraziata che a molti ha ricordato antiche prove di Ermanno Olmi (e quando mai Olmi è stato un regista da Oscar?). Comunque la cinquina dei nominati per la migliore opera straniera non presenta probabili sfracelli. Favorito (pare) è il brasiliano Sono ancora qui. Tra i cinque compare anche Emilia Perez ma ha l’aria di essere stato infilato lì nel caso che venisse a mancare la vittoria principale.
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