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Luca Marinelli vuole abolire le bocciature a scuola. E l'amica: "Eravamo due cretini"

Andrea Tempestini
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Quello di Luca Marinelli è un caleidoscopio di sofferenze, una molteplicità di patemi simmetrici che si ripetono ogni giorno. Cambiano luci e sfumature, cambia per quanto possibile il lessico ma non cambia la sostanza: l’attore nel vestire i panni del Duce ha sofferto. Nel profondo. Ce lo ripete senza soluzione di continuità. Del pacchetto caleidoscopico proposto ormai quotidianamente fa parte anche nonna: «Perché lo fai?», chiese al nipote quando quest’ultimo le confessò con indomabile tormento interiore che avrebbe interpretato Benito Mussolini. Marinelli però non le seppe rispondere, salvo riscattarsi quando la stessa nonna, dopo aver visto in anteprima M-Il figlio del Secolo (la serie tratta dal libro di Antonio Scurati, in onda da oggi su Sky), lo assolse: «Hai fatto bene». L’attore spiega che con quelle tre parole «mi tolse un peso gigantesco», così a Vanity Fair in un’intervista, una delle tantissime.

Il punto è che nonna, spiega Marinelli, «è una figura molto importante per me, soprattutto per avermi fatto crescere con dei valori antifascisti». Anche questo lo avevamo già sentito, così come abbiamo già sentito il più scontato, ma bilanciato, dei dileggi: ma non poteva dire che ha vestito i panni del Duce per lavoro, per soldi? Certo che poteva dirlo, ma vuoi mettere il ritorno nel condividere con l’universo-mondo l’angoscioso processo mentale? Essere un finto Mussolini tormentato dall’idea di esserlo dà punti, stellette, patenti. E insomma, così va il mondo, ecco che nelle interviste caleidoscopiche il patentino ottenuto permette a Marinelli di spaziare.

Tra le divagazioni - siamo sempre su Vanity Fair - una delle più eccentriche riguarda la scuola. La sua, di scuola. Nato a Roma 40 anni fa, Marinelli – evidentemente legato a doppio filo al tormento - spiega di aver faticato a trovare la sua strada, soprattutto tra i banchi: lo studio non gli si addiceva. «Sono stato bocciato due volte. La scuola è stato un periodo particolare, e la mia strada l’ho trovata solo dopo, piano piano». Su questo non c’è dubbio: l’attore è di livello, la carriera altrettanto, le prospettive eccellenti. Qualche dubbio, però, sulla licenza pedagogica che Marinelli si concede: «Essere bocciati non è una cosa bella, per nulla. È una situazione che quasi vieterei. Non è solo colpa del ragazzo, ma anche dell'ambiente, della scuola, di chi insegna. Credo che ci sia una corresponsabilità».

Ora, scontato il fatto che come afferma Marinelli «essere bocciati non è una cosa bella», sostenere l'abolizione della bocciatura dopo aver perso due anni non appare poi così credibile. Così come appare piuttosto auto-deresponsabilizzante sostenere che la colpa della bocciatura è anche di ambiente, scuola e docenti. Molto sessantottino (anche se Marinelli nasce nel 1984), un radicalismo per certo apprezzato da chi apprezza il cruccio della star nel fingersi Mussolini. Poi, se Marinelli sapesse che l'abolizione della bocciatura era nel programma di Giorgia Meloni nel 2022 forse gli verrebbe un colpo e rinnegherebbe tutto (lo spirito della proposta di FdI era differente, nessuna colpa attribuita ad «ambiente» e a «chi insegna», ma non è questo il contesto per approfondire).

A rendere il tutto incredibilmente comico, però, ci si mette anche un’altra intervista, pubblicata su Repubblica lo scorso 6 gennaio. A parlare è Barbara Chichiarelli, che nella serie interpreta Margherita Sarfatti, amante del Mussolini non ancora Duce. Caso volle che lei e Marinelli frequentarono lo stesso liceo, circostanza di cui le chiedono conto. Erano al «Mamiani - ricorda l’attrice -. Sono più piccola, ma lui era stato bocciato ed era in classe con le mie amiche». Com’era? «Come me: due cretini». E insomma uno dei «cretini» può anche essere bocciato e il sipario potrebbe anche calare qui, con annessa pernacchia che si leva dalla platea. Aggiungiamo solo quel che resta della risposta della Chichiarelli: «Eravamo in una delle scuole più politicizzate di Roma. Nelle occupazioni organizzavamo cineforum, io cantavo e lui suonava». Immagini indelebili.

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