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Da Celentano a Vasco: la playlist "di sinistra" dove la donna è solo un oggetto

Vasco Rossi

Luca Beatrice
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Il cantautorato è un paese di sinistra che non si accorge, o non ha mai voluto farlo, di trasmettere contenuti alquanto discutibili per il proprio credo e la propria ideologia. Sulle donne, ad esempio, su come si trattano e maltrattano, sul poco rispetto, sulla loro oggettificazione, c’è una linea retta che da Adriano Celentano arriva a Tony Effe, passando ovviamente per il Teorema di Marco Ferradini con il noto decalogo invero alquanto sfigato. Il Molleggiato, convinto che dal pugno chiuso nascerà una carezza, alzava le mani in Storia d’amore, «e uno schiaffo all’improvviso le mollai sul suo bel viso rimandandola date». Se ti fa soffrire, se ti tradisce, non deve esserci pietà secondo Riccardo Cocciante, «e quando a letto lui ti chiederà di più, glielo concederai perché tu fai così» (Bella senz’anima), gli insulti per Marco Masini sono del tutto giustificati per certi comportamenti mignotteschi come se alle donne importasse solo il denaro, «che ti fai vedere in giro per alberghi e ristoranti con il culo sul Ferrari di quell’essere arrogante. Non lo sai che i miliardari anche ai loro sentimenti danno un prezzo» (Bella stronza). Quella troppo intelligente meglio lasciarla ad altri, ne è straconvinto Roberto Vecchioni, «Prendila te quella col cervello che s’innamori dite quella che fa carriera. Quella col pisello e la bandiera nera, la cantatrice calva e la barricadera». Il prof vuole una donna con la gonna, che cucini e stia zitta, la signorina Rambo, ’sta specie di canguro, per non dire della Capitana Nemo... alla larga.

La questione di Colpa d’Alfredo la conosciamo, è diventata simbolo, bandiera anti-politicamente corretto, comunque Vasco l’ha detto che era «andata a casa con il negro, la troia». Anche nella più mite Rewind il Komandante insiste con la bambolizzazione della donna, «fammi vedere... fammi godere». Superiamo l’argomento spinoso e mai risolto sul rapporto tra i sessi: altri temi il popolo progressista oggi leggerebbe con parecchio imbarazzo, anzi li cederebbe volentieri a destra, uno per tutti la posizione antiabortista di Renato Zero che in un paio di stupende canzoni parla come un pro-vita: «Un altro figlio nasce e non lo vuoi... amalo» (Il cielo), «che una madre si arrende e un bambino non nascerà» (Più su). Cattolico e tradizionalista, il Re dei Sorcini scrisse dell’importanza di festeggiare il Santo Natale e onorare il Signore: «Dove abita, io non saprei. Magari in un cuore in un atto d’amore. Nel tuo immenso io, c’è Dio». Per non parlare dei CCCP che religiosi lo sono sempre stati anche quand’erano punk – in Madre pronunciano tutti i nomi della Madonna - e infatti non c’è da stupirsi delle successive posizioni di Giovanni Lindo Ferretti che fedele alla linea non lo sarà più. Né inganni l’invettiva di Povera patria, il Franco Battiato più autentico resta quello del Re del mondo dove cita René Guenon e in generale ne L’era del cinghiale bianco risulta attratto dal pensiero mistico caro alla destra.

Non a caso lo chiamano il Principe, Francesco De Gregori si è sempre mantenuto a distanza di sicurezza dal politichese sinistro avendo scelto la strada della poesia. È vero, cantò Pablo che sembrava un tupamaros, però quel titolo bellissimo, Il cuoco di Salò, e quelle strofe sussurrate «Che qui si fa l’Italia e si muore, dalla parte sbagliata. In una grande giornata si muore, in una bella giornata di sole. Dalla parte sbagliata si muore» ci fa pensare che le storie degli altri, di chi perde, le camminate solitarie lontane dal branco siano sempre le più belle da raccontare. E da cantare.

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