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Che tempo che fa, festa rovinata per Richard Gere dopo l'assoluzione di Salvini

Giovanni Sallusti
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Il copione era perfetto, non si fosse messa in mezzo quell’ostinata reazionaria della realtà. Richard Gere in studio, in tutta la sua vacuità brizzolata e politicamente corretta, a due giorni dalla sentenza Open Arms. “Intervistato” dal miglior reggimicrofono progressista che esista su piazza, Fabio Fazio. A far da canovaccio, la condanna al reprobo, al bavoso razzista, all’incallito sequestratore di migranti Matteo Salv...Fermi tutti, c’è un giudice a Palermo! Nel senso di un giudice non dei nostri, uno che non scambia l’aula dell’Ucciardone per una dependance dello studio di Che Tempo che Fa, uno che valuta persino in base al Codice e non alle Tavole della Legge dell’aperitivo radical. Matteo Salvini assolto.

Dev’essere stato il panico autentico, nella redazione del Nove che cucina il programma Fazioso di stasera. Perché il piatto era già precotto, e perfetto per il palato di lorsignori: la star hollywoodiana che salì a bordo della Open Arms e indirizzò poi i suoi strali contro Salvini dalle colonne di un noto organo dei disperati e degli ultimi come Vanity Fair, a infierire sul condannato. Solo che il condannato non c’è, e nemmeno il fatto: non sussiste. Scaletta saltata, bisogna rifare tutto. A cominciare dalla prima domanda: “Come si sente, ora che giustizia è stata fatta?”. Che potrebbe convertirsi in qualcosa come: “Al di là della fallibile giustizia umana, non sarebbe ora di scomodare la legge divina contro certa gente? Altre civiltà ci indicano il luminoso esempio della sharia...”.

 

 

Ma è l’intero mood che va ribaltato. Da cassare, senz’altro, tutta la tirata sulla bellezza della magistratura indipendente. Si apre però uno spazio per il giornalismo d’inchiesta: “Risulta anche a lei, signor Gere, che il collegio giudicante di Palermo fosse ospite fisso nella villa di Mar-a-Lago insieme a Elon Musk?”. E poi fascismo, ragazzi, andiamo sul sicuro che abbiamo poche ore per riscrivere tutto e non abbiamo tempo da perdere con quisquilie come il canone di verosimiglianza (di cui peraltro non ce n’è mai fregato alcunché, stiamo presentando Richard Gere come esperto di geopolitica dei flussi migratori): servono quintali di fascismo. “Lei che paragonò lucidamente Trump a Mussolini, vede il rischio fascismo in Italia? Vede i tribunali già allineati al regime? Vuole invitarci a una nuova Resistenza, magari sulle note più pop di Oh, Pretty Woman rispetto alla vetusta Bella Ciao?”.

Si pone poi un’infinità di problemi lessicali. Tutto quell’indugiare su come l’American Gigolò si sia trovato in mezzo ai “sequestrati”, quando salì a bordo di Open Arms per qualche selfie sul luogo del “reato”, tutto quell’insistere sulle sue impressioni mentre assisteva in diretta al “sequestro” delle persone cui portava la sua solidarietà per niente pelosa: appallottolare e cestinare. Non c’era alcun sequestro, rischia di venir meno anche l’alone eroico della comparsata dell’attore, potrebbe apparire quasi una scampagnata radical finalizzata più che altro alle copertine dei tabloid statunitensi. Sbianchettare, omettere e divagare: “Ma ci racconti del suo prossimo film, Oh Canada- I tradimenti...”. No diavolo, non interessa a nessuno. Proviamo a ripartire dal suo manifesto antisalviniano consegnato a Vanity: “Abbiamo lo stesso problema negli Stati Uniti, con persone squilibrate come Trump”. Può essere una via, passare dalla contestazione del reato di non incentivazione dell’immigrazione clandestina direttamente alla perizia psichiatrica per quei governanti che pretendono di controllare i confini del proprio Stato, con successivo ricovero coatto? Insomma “medicalizzare” il nemico, da sadico sequestratore a pazzoide? Scrivi scrivi, questa è buona. Salvini è matto e chi lo ha assolto è fascista, garantisce l’ufficiale gentiluomo, sipario.

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