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"Romanzo criminale"? Ora torna in versione "sinistra" da circoletto rosso

Daniele Priori
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Il riciclo non è soltanto un dogma gretino, il riciclo può anche diventare un genere letterario e persino metaletterario, trasversale all’intero spettro delle arti e dell’industria culturale. Ci sono filoni interi che vengono disossati finché garantiscono una redditività residuale, si pensi alle serie di ambientazione ospedaliera o alle infinite variazioni sull’archetipo del detective. C’è poi un caso estremo di riciclo, ovvero quando una singola opera diventa essa stessa un format che si rideclina in tutte le forme e in tutti i generi, fino a costituire un genere a sé stante. Nonché, per metterla in prosa, un moltiplicatore di posti di lavoro e palcoscenici, spesso per i soliti noti (almeno nel loro circolino).

Non è l’opera-mondo, che ha il timbro nobile e irripetibile della creatività individuale. Piuttosto, è l’opera-collocamento, quella che ti permette di sbarcare il lunario con buone recensioni, che tanto sono già state scritte. Un caso di scuola è Romanzo Criminale, che nasce un’era fa come romanzo sulle gesta della Banda della Magliana dell’ex magistrato mediamente engagé Giancarlo De Cataldo, ma le origini si perdono ormai nella notte dei tempi.

 

 

COMPAGNIA DI GIRO
Perché nel frattempo RomanzoCriminale (d’ora poi tutto attaccato, come si conviene a un prodotto, peraltro sempre uguale a se stesso) è stato anche un dimenticabile film di Michele Placido, con tutta la compagnia di giro che vi aspettate in una pellicola italiana dalle velleità autoriali: Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Stefano Accorsi, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Elio Germano. Dopodiché, RomanzoCriminale è stata anche una serie tivù assai più strutturata, diretta da Sergio Sollima ma a cui Michele Placido ha collaborato come “consulente artistico” (appunto), mentre l’attore e musicista Stefano Fresi ha ottimizzato in entrambi i ruoli: nel film ha interpretato il Secco, per la serie ha realizzato il tema dei titoli di testa. Infine, ed è la notizia di ieri, RomanzoCriminale, nella sua metamorfosi perenne e autoreferenziale (un vero e proprio caso di gattopardismo artistico, dove tutto cambia perché nulla cambi mai) diviene anche... un’opera lirica.

Lo hanno annunciato, nelle vesti di committenti, la Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e la Fondazione Musica per Roma. Le musiche e la direzione saranno di Nicola Piovani, nume tutelare della Repubblica delle Lettere progressista. Da questo punto di vista, il curriculum è ineguagliabile: esordi sessantottini, collaborazione con Fabrizio De Andrè, sodalizio tra musica e scrittura con Vincenzo Cerami, sodalizio tra musica e cinema con Roberto Benigni (che ha portato all’Oscar per la colonna sonora di quel grande equivoco pseudochapliniano che è La Vita è Bella).

RADICAL CHIC
Piovani è una sorta di costante nell’arredamento del salotto radical nostrano, quasi l’incarnazione fisica dell’egemonia culturale (è anche uno di coloro che ci hanno tenuto a informarci del proprio autoesilio da X dopo la vittoria di Trump-Musk, per dire il tipo). Il libretto dell’opera sarà ovviamente curato dallo stesso Giancarlo De Cataldo, mentre la regia è appaltata a Massimo Popolizio, che già interpretava il Terribile nella versione cinematografica di Placido.

Sì, l’opera-collocamento funziona a pieno regime. Ripristiniamo però un minimo di decoro, anzitutto terminologico. Non ci si venga a dire che il polpettone multiuso RomanzoCriminale è espressione della grande creatività italiana, orgoglio dell’ingegno nazionale. Le parole non mentono mai, e la radice di “creare” rimanda al sanscrito kar-, ovvero “realizzare, fare dal nulla”. L’esasperato riciclo di RomanzoCriminale, piuttosto, rappresenta un caso da manuale di quell’ultima, effimera forma di gramscianesimo che è l’amichettismo. Un’egemonia contrattuale, più che culturale: ce la cantiamo, ce la suoniamo e ce la sottoscriviamo tra noi.

 

 

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