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Lello Arena, la confessione: "Cosa eravamo costretti a fare io e Troisi"

Daniele Priori
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Lello Arena non è tipo da anniversari. All’attore e regista napoletano piace parlare al presente e guardare al futuro. «Anche perché di solito quando si celebrano le cifre tonde, poi passato il santo è finita la festa», dice a Libero. E sì che di anniversari tondi in questo periodo ce ne sono stati e ce ne saranno: i trent’anni dalla scomparsa e i settant’anni dalla nascita di Massimo Troisi ma anche, a breve, i cinquant’anni de La Smorfia il trio comico (Troisi-Arena-De Caro) da cui tutto, ormai mezzo secolo fa ha preso le mosse. Arena insiste «ma non volevamo fare retrospettive, le solite mostre, idee nostalgiche e un po’ funebri che sapevano di vecchio e mai di futuro». Così, per celebrare adeguatamente la memoria di Troisi, assieme al sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, è arrivata l’idea che è poi l’occasione stessa del nostro incontro con Lello. Si tratta di un nuovo progetto original di Rai Contenuti Digitali e Transmediali per RaiPlay. Non un talent ma qualcosa di più: un’accademia artistica dedicata ai giovani attori/autori, musicisti/cantanti, ballerini/artisti di strada, di cui Arena è ideatore, direttore artistico e docente di recitazione.

Cioè è il titolo del programma. Acronimo di Centro Interdisciplinare Opportunità Espressive ma anche (o forse soprattutto) «l’intercalare tipico con cui Massimo Troisi spezzava le frasi» ci dice Lello presentandoci il viaggio in venti puntate durante le quali seguire il percorso formativo e artistico dei giovani protagonisti e conoscere la loro vita fuori e dentro l’Accademia, fino all’emozione per gli applausi di piazza del Plebiscito dove, nella rassegna Restate a Napoli andata in scena lo scorso Ferragosto, i cento ragazzi si sono potuti esibire di fronte a 5mila persone.

 

 

 

Lello, praticamente con il suo talent su RaiPlay avete anticipato di qualche mese la grande finale di X Factor!
«Come sempre c’è chi arriva primo e chi arriva secondo. (Sorride) Loro saranno ospiti molto graditi in una città che sta vivendo un grande rinascimento. Quindi ben venga che una trasmissione importante come X Factor arrivi a fare finali gratuite per il pubblico al Plebiscito. Non saranno i primi ma anche essere secondi va bene».

In cosa possono essere simili e in cosa diversi i giovani di oggi da quei due giovani Lello e Massimo che a metà anni 70 si incontravano a San Giorgio a Cremano?
«Noi siamo stati costretti a fare tutto da soli, a immaginare e disegnare strade, percorsi, cercare persone che fossero sensibili. Ci è toccato di pigliare una quantità di porte in faccia considerevoli. Poi fortunatamente la proposta era tanto particolare e aveva dentro un talento straordinario come Massimo Troisi che ha sciolto tanti nodi e aperto tante porte. Certo, se anche noi avessimo avuto un posto come Cioè avremmo fatto un po’ di fatica in meno!».

A proposito di giovani. Una realtà come Mare fuori che opportunità creativa è stata peri ragazzi napoletani che ci lavorano?
«Mare Fuori è stato un evento di spettacolo che ha dato finalmente prova del fatto che ci fosse una nuova generazione di giovani attori con alcuni dei quali ho anche lavorato in occasione di film e spettacoli diversi. Una generazione molto importante. La loro bellezza, bravura e talento ha fatto sì che Mare Fuori sia diventata un’ occasione significativa per lanciare carriere importanti».

La Smorfia secondo lei potrebbe essere replicabile o meglio... attualizzabile?
«La Smorfia è destinata a rimanere unica come sono unici Eudardo, Totò o lo stesso Massimo. Non si possono immaginare copie o sostituti. La bellezza di queste cose è che hanno una loro presenza ostinata anche nel corso degli anni. Parlando di autori venuti dopo, penso a Ficarra e Picone che, per loro ammissione diretta, sono una emanazione de La Smorfia. Loro hanno iniziato facendo i pezzi nostri e si sono sempre ispirati a noi. Come noi ci siamo ispirati a quelli venuti prima, facendo tesoro di un modo di fare spettacolo, per inventarne poi un altro completamente nuovo. Rappresentano una evoluzione. Meglio che ci siano loro piuttosto che una copia mal riuscita de La Smorfia».

Il dialetto napoletano è stato sdoganato del tutto o pensaci sia ancora pregiudizio?
«Questa è una storia antica. La lingua napoletana ha sempre prodotto in tutto il mondo capolavori nel canto e nel teatro. Ci sono generazioni che giustamente hanno idolatrato Eduardo senza porsi il problema di come parlavano i personaggi. Per cui mi sembra un problema che ogni tanto viene riproposto per fare un po’ di colore».

 

 

 

Quindi viene meno anche l’assunto di chi dice che ci sono due lingue napoletane: quella di De Filippo e quella di Gomorra?
«A Napoli ci sono sempre state tante lingue... Tra musicisti ci si esprimeva nella parlesia, uno slang napoletano che serviva per le comunicazioni private e riservate che dovevano restare solo tra loro e non essere capite da proprietari di locali o impresari. La lingua di Gomorra è uno standard per rappresentare i criminali, i delinquenti di Napoli ed è diventata famosa in tutto il mondo ma sono tutte cose che hanno a che fare con lo spettacolo ma non con la realtà di una città pur senza voler tacere i problemi che non si possono tacere, sta vivendo una stagione nuova che è nuova anche per me»”.

E a lei nella sua carriera è mai capitato di essere discriminato in quanto napoletano?
«Per tanti anni ho fatto il capocomico allo Stabile del Veneto, al Teatro Goldoni di Venezia. Ogni volta che facevamo la conferenza stampa d’apertura della stagione non era proprio un ambiente accogliente per me. C’era sempre qualcuno che chiedeva come mai nel Veneto ci fosse un capocomico napoletano. Al terzo anno che facevano la stessa domanda io risposi: finché i vostri gondolieri canteranno O sole mio sul Canal Grande, io potrò fare il capocomico allo Stabile del Veneto».

Questa nuova stagione partenopea di cui parla lei la sta raccontando Paolo Sorrentino con i suoi ultimi film...
«Certamente. Siamo tutti felici testimoni di una cosa che nessuno di noi avrebbe mai immaginato. Ma io ho sempre girato a Napoli. Si immagini che una volta mi sono trovato a collaborare per una regia con Gàbor Pogàny, uno dei più grandi direttori della fotografia che aveva lavorato in tanti film di De Sica. Lui accettò di lavorare con me a patto che non l’avessi riportato nei luoghi che aveva utilizzato con Vittorio. È stato uno stimolo a cercare una Napoli che è sempre capace di produrre del nuovo. Noi la guardiamo con gli occhi innamorati dei figli nati in quella città ma quella ogni volta ci smarca e ci racconta delle cose inaudite. Come in un’altra occasione in cui mi sono ritrovato a ricostruire la Germania a Napoli. Per due settimane abbiamo girato riproducendo alla perfezione architetture, ambientazioni, strade che erano proprio tedesche. Non mi meraviglia il fatto che Sorrentino torni a casa sua per raccontare un’altra Napoli che lui stesso magari non aveva ancora visto».

Lei continua a vivere nella sua città...
«Io vivo a Napoli ma sono felice di fare anche il pendolare. Faccio parte di quei ragazzi che sono approdati nella Roma di Nicolini, dove c’erano l’Estate Romana e un concerto a settimana. Adesso invece il cinema a Roma permane solo in chiave amministrativa e produttiva perché in realtà non si fa più. Napoli invece sembra Hollywood. È impossibile trovare slot liberi. Vengono a girare da tutto il mondo. E questo non può che essere un bene. Mai avrei pensato, in questa mia terza gioventù, che dovessi proprio a Napoli il rifiorire delle mie varie anime come artista».

 

 

 

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