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Red Canzian, lo sfogo: "Mi hanno quasi ucciso", contro chi punta il dito

Leonardo Iannacci
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 Dopo le note con i Pooh (migliaia), ecco le parole (cento). Red Canzian è un tipo che non si ferma mai, anche quando non è con gli altri suoi sodali. Così, fatto tacere il fedele basso al termine di una trionfale tournée con la band che nel 2026 festeggerà 60 anni, ha scritto un libro che si intitola, appunto, Centoparole e ha per sottotitolo Per raccontare una vita (Sperling&Kupfer).

Red, un libro sorprendente perché coniuga il lato intimo con esperienze ed emozioni che sono di tutti, vero? 
«Premessa: non è un’autobiografia. Ho usato il mio ego non certo come autocelebrazione bensì come “mezzo di trasporto“ per veicolare altri pensieri, per arrivare al cuore della gente».
La scelta di raccontarsi e raccontare attraverso cento parole è curiosa. 
«In ognuna di essa ho cercato qualcosa che valesse la pena di essere analizzato. Per esempio la parola Amicizia».

 

 


Facile, i Pooh hanno cantato Amici per sempre. Lo sono veramente? 
«Sì. Amici è dirsi le cose in faccia, anche avere visioni opposte ma arrivando sempre all’abbraccio finale».
Qualche esempio di questa amicizia? 
«Stavo per separarmi dalla prima moglie perché ero innamorato pazzo di Bea, l’attuale fantastica mia metà e ne parlai una sera con Stefano, che non è più con noi. La mattina dopo mi portò la canzone Stare senza dite. Stupendo, no?».
Mi faccia un altro esempio. 
«Nel 1973 presi il posto di Riccardo Fogli che mollò i Pooh e fuggì con Patty Pravo per la quale da allora accendo un cero ogni giorno. Per decenni non ci siamo incrociati. Nel 2016 Riccardo è tornato e siamo diventati intimi. I Pooh sono una famiglia, i nostri figli sono fratelli».
A proposito di giovani, come li vede? 
«Non bene. Mi sembrano smarriti anche per colpa della mia generazione e in questo libro cerco di dare consigli. Vivono in un mondo dove, per paura di fallire, rischiano e investono sempre meno nella realizzazioni dei loro sogni».

 

 

 


Ci sono altri passaggi, nel libro, di un intimità assoluta, racconta i suoi drammi di salute. Un modo per esorcizzali? 
«Nel 2015 stavo per morire per un’essiccazione all’aorta e sono stato salvato per i capelli. Nel 2018 mi hanno operato per un tumore maligno ai polmoni e nel 2022 sono stato malissimo causa un stafilococco. La vita è anche dolore».
Cosa non le piace dello show-business che frequenta da mezzo secolo e più? 
«Certe critiche. Non quelle di voi giornalisti su una canzone che può piacere o meno ma certi atteggiamenti: è capitato con Lucio Dalla, beatificato ma dopo la morte».
Lei è infastidito da altre critiche? 
«Quelle malevole dei leoni da tastiere. Anni fa quelle critiche mi uccidevano, ora ho fatto mia la frase di Aristotele: per evitarle non fare niente, non dire niente».
Una critica assurda è: i Pooh sono una band disimpegnata. 
«Vero. Siamo stati i primi, nel 1976, a scrivere una canzone sull’omofobia: Pierre. Prima ancora una social-politica: Brennero ’66. E tante sulle donne da rispettare».
I Pooh sono anche una band furba? 
«Le racconto questo: nel 1990 dovevamo andare a Sanremo ma il brano imposto dalla casa discografica, Donne italiane, non ci convinceva. Volevamo portare Uomini soli. Così il 6 gennaio cantammo a Fantastico Donne italiane prima del Festival, togliendogli ogni possibilità di partecipazione. Risultato? Uomini soli vinse».
Fra una reunion e l’altra dei Pooh non sta mai fermo: musical, concerti solisti, quadri, libri, tv. Bulimia da lavoro? 
«Solo piacere, questo libro l’ho scritto mentre ero in tour. E due anni fa il mio musical Casanova ha ricevuto il Premio Flaiano, una soddisfazione immensa».
Oltre ai suoi cari, cosa porterebbe con sè in un’isola deserta? 
«Il basso, è parte di me. Nel 1978 son stato il primo a introdurre il suono fretless di un basso in un disco pop?».
Dopo il libro che farà Red Canzian? 
«Lo Zecchino d’Oro! Ho scritto una canzone per bambini, un vecchio progetto. Argomento? Marco Polo».

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