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Antonio Scurati bocciato in storia d'Italia: non vuole celebrare gli eroi di El Alamein

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Marco Patricelli
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C’è una sola cosa che gli storici invidiano ai romanzieri: i numeri delle copie vendute e il facile successo. Ma non a caso il mercato editoriale distingue nettamente tra saggistica e narrativa, la prima ancorata ai fatti e alla loro interpretazione, con pubblico limitato, la seconda come interpretazione della realtà e libertà di immaginazione. Quando i due settori entrano in contatto, nel migliore dei casi (i più rari, come a esempio i pregevoli libri di Ben Pastor) vengono fuori ottimi romanzi storici in cui l’elemento d’invenzione si innesta perfettamente nel quadro degli eventi, in altri e più diffusi la storia diventa un contorno o una marginale pertinenza al servizio della ricerca di una medaglietta di autorevolezza. Il ricordo di El Alamein ha fatto tracimare le acque anarchiche della narrativa nei pascoli della storia, tranciando giudizi e semplificazioni incanalate nel politicamente scorretto e nell’ideologicamente ortodosso, prontamente amplificati dal sistema mediatico-partitico che infiocchetta il banale e lo fa rilucere come dono di saggezza.

Non si è sottratto l’onnipresente autopromuovente Antonio Scurati, eletto per acclamazione a massimo esperto peninsulare di fascismo e Mussolini per la sua recherche a puntate sul Duce e dintorni. Secondo Scurati, con sponda interessata di Corrado Formigli in contrappunto, sarebbe «follia» ricordare (anzi «commemorare») la battaglia di El Alamein e, visto che c’è, tutte le battaglie sostenute dagli italiani nella seconda guerra mondiale, tutte perse (ma non è così) e combattute tutte nel nome del fascismo aggressore (e neanche questo è così). Ma se fossero state vinte tutte, forse sarebbero state più degne di memoria? L’autore di «M» in tutte le cinquanta sfumature di nero orbace dispensa pillole di saggezza antifascista e non accontentandosi del Duce ci mette dentro anche marescialli «idolatrati dai nostalgici», pur riferendosi al solo Rodolfo Graziani, sul quale la storia il suo giudizio l’ha emesso da qualche decennio e che sia idolatrato per virtù militari è tutto da dimostrare. Ma fa co munque scena.

Solo che Graziani con El Alamein c’entra come Asterix con Vercingetorige. Certo, se la storia dovesse occuparsi solo dei buoni o ricordare solo esempi di virtù, potremmo liberarci in un sol colpo dello sterminatore di galli e genocida Caio Giulio Cesare (una serie su «GC» non sarebbe male), o del razziatore seriale e dissanguatore di una generazione di europei come Napoleone (un ciclo su «N» avrebbe i suoi estimatori), odi quel razzista guerrafondaio di Winston Churchill (purtroppo su «WC» qualche remora di opportunità ci sarebbe). In una paginetta da Bignami ce la caveremmo tutti in storia, e per Scurati non ci sarebbe neppure la necessità di vergare e promuovere come verità rivelata ponderosi volumi su un solo personaggio che ha fatto la sua fortuna, economica e mediatica, ovvero il giornalista di Dovia di Predappio. Invece, per sua sfortuna e per fortuna di chi la storia la studia e non l’annusa, l’uomo nel suo percorso di conoscenza si occupa di Tamerlano e Gengis Khan, di Ivan il Terribile e Pietro il Grande, di Mussolini e Hitler, e pure di Stalin che se la giocava alla pari e spesso sopravanzava per mestiere e spietatezza i dittatori del male assoluto, idolatrato (lui sì) ancora oggi anche nelle nostre latitudini.

La storia ricorda le battaglie vinte e pure quelle perse (il rovescio della medaglia), da Alesia a Waterloo, dalla Somme a Verdun, dalla Blitzkrieg alla ritirata di Russia, col suo carico di dolore e di sangue. La conoscenza è fatta di ricordo e di memoria coltivata, non di dogmi, postulati e preconcetti. L’autentica «follia» è sostenere, come fa il fortunato romanziere il quale si ritiene censurato da tutti ma è ubiquamente nell’orbe terracqueo a gridare alla libertà perduta, che «nessuna celebrazione è lecita». E men che meno in una democrazia come quella italiana che, sempre lui sostiene, «è in pericolo, anche in questo momento». Ma che le cose non stiano così e farlo capire è davvero una battaglia persa in partenza. Coraggio, arriverà pure il 25 aprile, non ci sono solo Caporetto e l’8 settembre.

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