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Fratelli Menendez, la serie Netflix riapre il caso: perché possono essere scarcerati

Alessandra Menzani
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Una serie clamorosa su Netflix e soprattutto il clamore mediatico che l’ha accompagnata sono stati in grado di dare la svolta a un processo per duplice omicidio avvenuto quasi quaranta anni fa. Sappiamo bene quanto l’opinione pubblica e soprattutto le pressioni siano cruciali nei processi, in questo caso lo scossone è davvero senza precedenti. La storia è quella degli ormai famosissimi fratelli Menendez, condannati all’ergastolo per aver ucciso i genitori negli anni Ottanta. Lyle e Erik sono detenuti da 35 anni in carcere per omicidio ma ora il procuratore distrettuale della contea di Los Angeles, George Gascon, ha annunciato che chiederà che venga rivista la condanna per i due, condannati all’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata per il delitto datato 1989. Si apre così la possibilità di una loro scarcerazione. Il caso è tornato sotto i riflettori dopo la serie Netflix The Monsters.

Attendibili, secondo il procuratore, le nuove prove sugli abusi sessuali che i fratelli, che avevano 18 e 21 anni all’epoca dell’omicidio, avrebbero subito fin da piccoli da parte del padre con la copertura della madre. Sarebbe questo il motivo che avrebbe spinto i due a sparare con fucili da caccia nella loro casa di Beverly Hills ai genitori, il dirigente di una società di intrattenimento José Menendez e Kitty Menendez. D’altra parte lo sceneggiatore della serie Ryan Murphy lo aveva dichiarato: «Il nostro obiettivo era presentare tutti i fatti e farvi riflettere su due cose: decidere chi è innocente, chi è colpevole, e chi è il vero mostro, e aprire una conversazione su qualcosa di cui non si parla mai nella nostra cultura, ovvero l’abuso sessuale maschile, che trattiamo con responsabilità».

 

 

 

Gli avvocati difensori dei fratelli sostennero che erano stati abusati sessualmente dal padre e, dopo due processi, furono giudicati colpevoli di omicidio e condannati all’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata. Gascon ha spiegato che la sua richiesta di una nuova sentenza non è stata accolta all’unanimità, in quanto «ci sono persone nel mio ufficio che credono fermamente che i fratelli Menendez dovrebbero rimanere in prigione per il resto della loro vita, e non credono che siano stati molestati». Ma «ci sono persone che credono fermamente che dovrebbero essere rilasciate immediatamente e che in realtà sono stato molestati», ha aggiunto. «Credo che abbiano pagato il loro debito con la società», ha sottolineato il procuratore, aggiungendo riguardo alle prove che «abbiamo l’obbligo morale ed etico di rivedere quanto ci è stato presentato».

Si era battuta con forza anche la modella e influencer Kim Kardashian che aveva scritto una lettera aperta: «Con il loro caso tornato sotto i riflettori – e considerando la rivelazione di una lettera del 1988 di Erik a suo cugino che descrive gli abusi – la mia speranza è che le sentenze di ergastolo di Erik e Lyle Menendez vengano riconsiderate. Lo dobbiamo a quei ragazzini che hanno perso la loro infanzia, che non hanno mai avuto la possibilità di essere ascoltati, aiutati o salvati».

 

 

 

Quella lettera al cugino è un elemento cruciale. Si tratta di parole scritte da Erik Menendez a suo cugino Andy Cano, in cui racconta i gravi e persistenti abusi sessuali subiti. La lettera è stata pubblicata dal procuratore sul proprio profilo Instagram, che ha successivamente rimosso il post. Lo scritto è stato rivelato dal Daily Mail e sarebbe stata scritta da Erik solamente otto mesi prima del parricidio. Il ragazzo, all’epoca diciottenne, ha raccontato a suo cugino delle violenze subite: «Ho cercato di evitare papà, ma succede ancora Andy. Non riesco a spiegarlo. Non so mai quando potrà succedere, mi sta facendo impazzire. Ogni notte resto sveglio pensando che potrebbe entrare. Ho paura, non conosci mio padre. È pazzo. Mi ha avvertito un centinaio di volte di non dirlo a nessuno. Soprattutto a Lyle. Non so se ce la farò a superare questa situazione. Posso gestirla, devo smettere di pensarci».

 

 

 

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