Cerca
Logo
Cerca
+

Damiano David "corre" da solo? Ecco cosa rischia senza i Maneskin

Luca Beatrice
  • a
  • a
  • a

Sono tre i motivi per i quali le rockband si separano: i soldi, la droga, le donne. A meno di non chiamarsi Rolling Stones, che si detestano da sempre, eppure sono ancora lì insieme sul palco, dagli anni ’60, a parte il povero Charlie Watts.

Manca poco al 27 settembre, quando uscirà Everywhere, primo singolo di Damiano David senza i Maneskin, ma la separazione (provvisoria?) era già in atto. Tanti front man non resistono alla tentazione della carriera solista, del progetto parallelo: ad alcuni è andata bene, ad altri decisamente no. Cominciando dai Beatles, che si sciolgono nel 1970.

L’immarcescibile Paul prima fonda i Wings, poi continua a sfornare, fino a ora, una incredibile serie di album. John dopo Imagine sceglie Yoko Ono, è discontinuo e ci abbandona troppo presto, George l’intellettuale del gruppo si ferma a un paio di singoli. Il solo Ringo se ne sta in disparte, che è un po’ la condanna dei batteristi a non farcela da soli, tranne un paio di eccezioni: Phil Collins, che sostituisce il fuoriuscito Peter Gabriel al microfono dei Genesis e nel contempo canta da solo (riascoltare almeno In the Air Tonight e Against All Odds), e Dave Grohl, fondatore dei Foo Fighters dopo la fine dei Nirvana, un caso però segnato dalla morte.

 

Tra quelli cui è andata bene, anzi benissimo, in cima alla classifica ci sono indiscutibilmente due nomi: Sting, via dai Police nel 1984 dopo cinque album con i Police, tutti belli. Giusto lasciare al culmine della carriera, senza malinconia. Dei tre, Sting è il solo ad aver avuto un percorso sempre all’altezza della situazione e meglio di lui ha fatto Robbie Williams, prigioniero dello stile Boy Band con i Take That, addirittura un crooner quando si è messo in proprio e con personalità. Sul podio si potrebbe aggiungere George Michael un tempo Wham, almeno per un tratto, voce celestiale se non si fosse autodistrutto. Ci manca.

Molto più ampia la categoria dei così così, né bene né male, neither fish not flesh. Possiamo infatti affermare di aver aspettato con ansia i dischi solisti di casa Gallagher, Liam o Noel? Direi di no e invece abbiamo appreso con entusiasmo la notizia della prossima reunion e, forse, di un album nuovo. Già, perché la variante sta proprio qua, tornare insieme per soldi, tanti soldi. In ogni caso nella folta muta di chi se l’è cavata con dignità possiamo mettere Bryan Ferry e Brian Eno ex Roxy Music su fronti molto diversi, il primo dandy pop, il secondo avanguardia sperimentale,

Damon Albarn che entra ed esce dai Blur (però il progetto parallelo Gorillaz è uno dei pochi alla dignità del mondo), Morrissey già leader degli indimenticati Smiths -si salva un disco su tre- mentre se si parla di Art Rock, ovvero dei Sonic Youth, meglio Kim Gordon -ultimo album The Collective spettacolare - dell’ex partner Thurston Moore.

 


E poi ci sono proprio quelli cui non ha girato, quelli che andandosene hanno rovinato il gruppo e se stessi. Caso più evidente Roger Waters, costretto a cantare sempre i soliti pezzi dei Pink Floyd senza la chitarra di David Gilmour, mentre di suo ha scritto poco e non significativo.

Anche nel mondo metal le diaspore non hanno funzionato, i dischi solisti di Slash ex Guns and Roses sono tra i più brutti mai ascoltati. La palma del peggior solista, pensando da dove era partito, la prende Thom Yorke già Radiohead: è davvero inspiegabile come si sia persa la magia di sei/sette album meravigliosi per la smania di sperimentare gorgheggi ansimanti verso lo scatto di una presunta musica impegnata quando l’origine resta pop.

E in Italia? Erano gli anni ’70 quando Riccardo Fogli salutò i Pooh, troppo innamorato di Patty Pravo e troppo ambizioso per non essere considerato l’unico cantante, ma della differenza si sono accorti in pochi. Nei ’90 Morgan era il leader dei Bluvertigo, miracolo durato appena mezzo album e non si fa fatica a crederlo. Più a lungo resistettero gli Afterhours -ma che disco era Hai paura del buio? - poi Manuel Agnelli decise che era meglio diventare un personaggio e fare i soldi che il mondo dell’indie-rock non gli garantiva. Da mentore dei Maneskin, ai tempi di X Factor, avrà dato a Damiano il consiglio giusto? Quella magia glam rock riuscirà a ripeterla anche da solo? Qualche dubbio all’orizzonte.

Dai blog