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Alain Delon, sfregio postumo al divo del cinema: "Era misogino e omofobo"

Luca Beatrice
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Quant’era bello il tempo delle nostre madri, quant’era sano, loro sì che si godevano la vita con libertà e passione. Le donne giovani negli anni ’60 attraversarono il periodo migliore del ‘900, accorciarono le gonne, si innamorarono dei divi del cinema, presentandosi come un modello nuovo e soprattutto felice di una generazione finalmente priva di pregiudizi.

Non a caso rimane quella l’età dell’oro del nostro occidente, anche gli ultimi ci stanno lasciando, impensabile l’idea di sostituirli. Furono proprio quelle donne ad adorare Alain Delon, lo trasformarono da attore a oggetto del desiderio. Non era il solo, accanto a lui - perché il cinema francese era stupendo - c’era l’amico Jean Paul Belmondo che Jean-Luc Godard assurse a sex symbol/ figlio di mignotta in Fino all’ultimo respiro, non era il solo ma era proprio l’unico e le ventenni di allora, come mia madre, lo idolatravano per la bellezza assoluta e, soprattutto, perché incarnava nell’arte come nella vita un ruolo preciso, quello del maschio. Alain Delon ha attraversato una vita lunga degna appunto di un film, ecco, mi viene in mente il bellissimo Una vita non basta di Claude Lelouch interpretato da Bebel; fosse scomparso vent’anni fa avremmo letto tutt’altro sui giornali, ma nell’estate del 2024 la missione del cronista malmostoso consiste nel cercare ciò che non funziona secondo le regole imposte dall’assurdo presente. (...)

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