Lino Banfi spariglia: "Robert De Niro si ispirerà a me"
Lino Banfi, 88 anni di vita vissuta. Tra Canosa e Roma, tra Cinecittà e ora anche il Vaticano, fino a raggiungere, lo scorso anno, «in maniera diversa» persino Hollywood. C'è tanto cinema, a partire dalla gioviale amicizia con Federico Fellini, appassionato ai racconti di Lino sull'avanspettacolo, ma anche tanta umanità che va dall'impegno a favore della comunità di San Patrignano al ruolo di ambasciatore dell'Unicef, fino al nuovissimo sodalizio con Papa Francesco «un'amicizia che sta crescendo e che tengo cara. L'altro giorno mi ha chiamato per il mio compleanno. Io ho azzardato addirittura un “Ciao Santità”» ha raccontato l'attore pugliese che il pontefice ha più volte salutato come “il nonno d'Italia”.
«Ultimamente mi ha detto che sono anche il bisnonno d'Europa» ha scherzato Banfi che, a proposito di “grandi vecchi” ha anche annunciato che Al Pacino e Robert De Niro avrebbero deciso di reinterpretare il soggetto del film per la tv del 2002 Un difetto di famiglia in cui l'attore pugliese si denuncia col suo fratello (Nino Manfredi) segretamente omosessuale. Incontriamo Banfi al tramonto, al termine del primo appuntamento di quest'anno con La Terrazza della dolce vita, rassegna di pomeriggi a colloquio con i vip che Simona Ventura e Giovanni Terzi tengono da cinque anni a battesimo presso la più felliniana delle cornici: quella del Grand'Hotel di Rimini. Signor Banfi, Fellini amava i suoi racconti sull'avanspettacolo ma oggi una buona parte dei tanti film nei quali lei ha recitato finirebbero al bando per colpa della cosiddetta cultura wake.
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Cosa pensa del dominio del politicamente corretto?
«Lo trovo esasperato. Pensi che io da ragazzino ho iniziato a fare le imitazioni per fare delle cose diverse dagli altri e presi a imitare solo cantanti di colore. Mi mettevo una calza nera in faccia che sembrava un bandito, però riuscivo a coprire la mia vergogna. Armstrong, Don Marino Barreto, Nat King Cole mi venivano bene. Mi chiedo perché togliere questa gioia, questo gusto alle persone? Che c'è di male se io per interpretare Armstrong mi tingo leggermente di scuro? Non vedo dove sia l'offesa...».
A proposito di polemiche. Col suo amico Papa Francesco per caso ha parlato delle drag queen sul tableau che sembrava ispirato al Cenacolo di Leonardo?
«No, figurarsi se quelle poche volte che lo vedo ci mettiamo a parlare di cose così. Ci confrontiamo spesso sul tema dei nonni e dei nipoti ma anche sul fatto che oltre l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine, ci sono molte altre lettere nell'alfabeto. Nella famiglia queste altre lettere sono i cognati, i generi, le nuove, i figli che, specie in questo periodo estivo, non si comportano benissimo e lasciano i papà, le mamme, i suoceri in garage. Non è giusto che loro si vadano a fare le vacanze e questi vecchi vengano lasciati ancora più soli. Questa è la cosa su cui io e il Papa ci troviamo sempre d'accordo».
A proposito di grandi vecchi, ci spieghi meglio questa rivelazione che ha fatto su De Niro pronto a interpretare, a fianco ad Al Pacino, i ruoli che furono suoi e di Manfredi. Di che si tratta?
«Allora che c'è questo interesse. La storia è quella del film Un difetto di famiglia . Non so poi come lo chiameranno in America ma in ogni caso è una vicenda attualissima in cui questi due fratelli che non si amavano si riuniscono per volontà della madre che morente ha chiesto che i due si ritrovassero per andarla a seppellire in Puglia. Durante questo viaggio i due fratelli si conoscono. Il mio personaggio non capiva perché il fratello avesse dovuto dichiarare a tutti la propria omosessualità, poi lo capirà assieme a tante altre cose. Addirittura nel viaggio scopro che il mio fratello Manfredi sta male, sta morendo di tumore al fegato, gli do metà del mio fegato pur di farlo vivere senza sapere se poi sarei sopravvissuto anche io o no. Però ci va bene e lui guarisce dal tumore. Un bell'esempio di fratellanza».
Lei ha mai sognato di arrivare a recitare a Hollywood?
«Tutti gli attori lo sognano. Però io ci sono stato l'anno scorso a Capodanno. Ho visto Hollywood in un'altra maniera. Alla Disney mi hanno fatto visitare la loro sede quando non c'era nessuno perché il direttore generale che vive un po' in Italia un po' lì mi conosceva come attore grazie agli italiani che continuavano a mostrargli immagini dei miei film. Così disse che avrebbe voluto fare un omaggio alla mia simpatia e mi fece fare una foto con in mano l'Oscar vinto da Walt Disney, che conservano lì in una cassaforte. Per me fu un'emozione incredibile».
Senta Lino, un pensiero speciale di Nonno Libero ai lettori di Libero?
«Pensi che io ho in mente una storia che si potrebbe intitolare Finalmente Libero che vuol dire tante cose, soprattutto rispetto a una persona di una certa età. Così avevo pensato di fare un film su un ex giudice che, finalmente libero dai suoi impegni, fa i conti con se stesso per capire se avesse fatto bene a mollare tutte le condanne, gli ergastoli. Un tema anche forte. Lo vorrei scrivere io ma non trovo il terreno fertile perché le distribuzioni e le produzioni hanno paura a fare le cose... Quindi, non lo so, per ora rimarrà lì nel cassetto».
A proposito di crisi del cinema. Lei riesce a trarre speranze dai giovani attori oppure no?
«Le speranze ci sono perché tra i trentenni di oggi c'è gente che ragiona. Ci sono ragazzi che pensano come se se 50 o 60 anni e quelli riusciranno hanno perché i paraocchi come ce li avevo io da giovane quando ero deciso nel voler diventare qualcuno. Soffrivo, dormivo nel vagone di un treno ma non mollavo l'obiettivo di voler fare il cinema nonostante la gente mi guardasse come si guardavano i pazzi. Il problema di oggi semmai è un altro che si vuole riuscire a fare tutto presto, arrivare troppo in fretta. Questo non va bene perché poi così si cade...».
Senta, dopo molti anni Mediaset proporrà una nuova stagione dei Cesaroni. E se a qualcuno in Rai venisse in mente di tornare a produrre Un medico in famiglia?
«Lo rifarei di corsa. Non solista. Andrei personalmente a convincere Milena Vukotic, Giulio Scarpati che faceva mio figlio e gli attori che facevano i miei nipoti. Non servirebbero neppure 13 puntate, ne basterebbero cinque o sei. Sarebbe l'addio della famiglia Martini perché, è vero, è uscita di scena così, senza dire che fosse finita, la gente non ha capito perché visto che ha ancora una popolarità immensa».
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