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Vibrazioni, lo sfogo di Francesco Sarcina: "Hanno maltrattato Giulia dopo la sua morte"

Daniele Priori
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La musica ricominci da Shakespeare. Così Francesco Sarcina, il frontman de Le Vibrazioni, ha deciso di affrontare un pentagramma sul quale scorressero le note di un “suo” Amleto moderno, in scena giovedì e venerdì sera al Teatro Romano di Verona come prima del Festival Shakespeariano 2024. Qualcosa che è stato possibile, racconta il cantautore a Libero «anzitutto grazie all’amicizia con Francesco Montanari che interpreta Amleto».

Cosa lega il famoso dubbio amletico, essere o non essere, e un cantautore proprio come lei?
«Anzitutto l’enorme piacere che ho sempre avuto nell’entrare in contatto con la letteratura che per me rappresenta un posto in cui rinchiudermi, esprimermi, sfogare sofferenze e piaceri, pormi delle domande. Sin da ragazzino, essendo figlio unico, mi è servita anche a non sentirmi solo oltre a colmare le lacune che derivavano dal fatto che purtroppo non sono stato un grande studente... Oggi, da musicista, in un’epoca in cui fanno di tutto per toglierci anche le emozioni e la fantasia, grazie alla letteratura riesco ancora a seguirle. Con questa esperienza in particolare sono riuscito a staccarmi dai preset radiofonici che servono per fare le canzoni che a volte ti fanno sentire fuori tempo e fuori luogo. Per la prima volta ho seguito davvero la necessità di mettermi a lavorare fuori dagli schemi tipici del mio lavoro ed è stata una scoperta. Mettersi a confronto con un testo letterario e immaginare cbe melodia potrebbero avere i vari personaggi: Amleto ma anche Ofelia. Ho scritto le parti per gli archi, per il pianoforte, poi ci sono anche le chitarre e qualcosa di elettrico ma è tutto mischiato».

Il suo gruppo Le Vibrazioni sono state famose sin dagli esordi per lo stile musicale fortemente riconoscibile. Da cosa è nato e come questa caratterizzazione ha attraversato tre decenni così complessi?
«Partendo dal presupposto che ogni epoca ha le sue problematiche, anche le Vibrazioni sono nate da un’esigenza. Ogni periodo storico riserva ai giovani problematiche diverse. E la nostra identità è figlia sicuramente del suo tempo, della musica che ascoltavo a casa grazie a mio padre chitarrista e cantante. Da Elvis ai Beatles fino a Carlos Santana di cui mio padre era un grande fan, tanto da arrivare a far casini per comprare una chitarra uguale alla sua. Così io, da figlio, mi sono messo a fare la stessa cosa, scrivere canzoni per l’esigenza di “vomitare” fuori i miei disagi. E il sound veniva spontaneamente grazie al mio background che si sente chiaramente. Quando abbiamo fatto le Vibrazioni è accaduta la stessa cosa. Le idee erano chiare...».

Ora che anche lei è padre di tre figli, come vive questo doppio rapporto: coi suoi figli e con la musica?
«I rapporti genitori-figli sono sempre molto complicati. Forse oltre a dire: che lavoraccio è fare il genitore, dovremmo chiederci anche che lavoraccio sia essere figlio. Io, per quel che mi riguarda, mi critico molto, mi struggo per il fatto che il lavoro mi porta lontano ma cerco sempre di ottimizzare la qualità più che la quantità del tempo che trascorro con loro. Tendo a coinvolgerli in quello che faccio, li porto con me in studio quando registro. Li vedo incuriositi perché la musica ha dentro qualcosa di primordiale dà input positivi... senza per questo volerli obbligare a far musica. Alla fine questi giovani dobbiamo pure lasciarli un po’ in pace... (sorride, ndr)».

Il suo figlio maggiore le ha detto, come è capitato a Giorgia, che alla sua musica preferisce quella di Lazza?
«No, però mi è capitata una cosa diversa. Di recente l’ho accompagnato al Fabrique di Milano a sentire uno di questi rapper di cui sinceramente non ricordo nemmeno il nome (ride, ndr). Gli ho fatto fare un po’ l’esperienza vip, l’ho portato dietro per fargli fare la foto... ed è successo che l’artista ha voluto fare lui una foto con me perché sua mamma è una mia grande fan... (ride, ndr)».

Un bel crush generazionale...
«In realtà l’unica cosa che dovrebbero capire i giovani è che ognuno può fare il genere che vuole, però devi comunque essere un fuoriclasse. Quello che mi fa davvero incazzare è vedere chi va sul palco senza la capacità di andare a tempo. Devono capire che un po’ di impegno serve sempre. Ad esempio, parlavamo di Lazza, a me lui non piace, non lo ascolto ma lo rispetto e lo stimo perché si vede che di musica ne sa».

A proposito che ne pensa del Festival di Sanremo?
«Penso che possa starci unire vecchi e giovani ma in realtà non ci ho mai fatto troppo caso. Tanto in generale su Sanremo ci sono poche certezze. Una è che, nonostante tutti dicano il contrario e parlino di vetrina, lì si va per gareggiare. L’altra è che rimane uno dei pochi eventi televisivi nei quali si suona e si canta dal vivo. Mi farebbe incazzare se pure al Festival decidessero di cantare in playback... poi facciano il regolamento che vogliono».

E se un giorno le capitasse di vincere Sanremo, andrebbe all’Eurovision?
«Ma sì perché no... Io sono della vecchia guardia, prendo e vado a suonare. Io per davvero arrivo dalle cantine non come i fenomeni che raccontano di venire dalla strada e invece...
Quello che mi faun po’ storcere il naso è l’eccessiva ostentazione del costume, delle fiamme... Ma questa ostentazione dei parvenu c’è ormai anche in Italia dove conta più l’attitudine, la tendenza che il contenuto. Che poi è il vero grande assente in contesti come l’Eurovision dove si fa più copia/incolla di parole a caso anziché raccontare storie vere. Tante parole belle che poi non dicono nulla».

Questi giorni si è parlato tanto di Giulia, la protagonista del brano Dedicato a te venuta a mancare...
«E mi hanno fatto veramente arrabbiare i titoli fondati sul gossip come “tutte le donne di Sarcina”, senza nessun rispetto. Giulia è stata una persona semplice e al tempo stesso divina.
Essere delle grandi persone non vuol dire stare al centro dell’attenzione per forza. La fama, quella roba lì, serve solo per avere un buon posto al ristorante. Il successo personale ha a che fare con la realizzazione vera e Giulia è sempre stata una persona così con la predisposizione a non negarti un sorriso, un abbraccio. Lei viveva di cose belle e sapeva gioire anche nelle difficoltà. Per questo mi ha fatto arrabbiare questa mancanza di discrezione verso di lei, quando nessuno tra i familiari ha mai esultato, approfittato o alzato i toni sapendo che quella canzone fosse davvero dedicata a lei. La verità è che adesso, quando la canto, non riesco a non provare dolore, perché il senso della dedica è cambiato...». 

Ha raccontato di aver trovato in J-Ax un amico carissimo che l’ha aiutata in un momento di buio profondo legato a droga e alcol. Quindi è possibile trovare amici veri tra gli artisti?
«Lui è un uomo che di testa è ancora un ragazzo. Ha uno spirito giovanile ,creativo e sempre molto produttivo. Viene anche lui dalla strada. È una persona vera e lo trovo molto simile a me nonostante i nostri generi musicali siano diversi. Nel periodo in cui sono stato particolarmente male gli ho chiesto aiuto, chiedendogli come avesse fatto a superare un demone così subdolo. Lui è stato molto schietto, onesto, vicino e nel momento del bisogno c’è stato ma come lui lo stesso Rosario Fiorello, Eros Ramazzotti, persone che magari non vedi, non senti tutti i giorni ma poi quando serve ti chiamano per sentire come stai. E lì c’è il vero senso dell’amicizia».

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