Cinema, tira più un film sul Napoli (senza contributi) del flop pagati coi nostri soldi
Io capitano (5 David di Donatello vinti) di Matteo Garrone quasi 4.4 milioni di contributi statali e un incasso di 4.8 milioni. Rapito (5 David in bacheca) di Marco Bellocchio quasi 5 milioni di euro di contributi e incentivi pubblici e solo 1 milione 934mila euro al botteghino. Il sol dell’avvenire (zero David) di Nanni Moretti quasi 4.6 milioni di tax credit e 4 milioni 194mila euro al box office. Palazzina Laf (vincitore di tre David) di David Riondino con 1.24 milioni di aiuti statali e un incasso di appena 767mila euro.
Sarò con te, il film sul terzo scudetto del Napoli prodotto dalla Filmauro di Aurelio De Laurentiis anche presidente del club partenopeo senza nessun aiuto statale, in tre giorni ha portato a casa già 770.213 euro ed è stato il film più visto del week-end.
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Numeri che dicono chiaramente come gran parte del cinema italiano (tra cui anche mostri sacri come Bellocchio e Moretti) non potrebbero più realizzare le loro opere senza l’aiuto statale. Se poi questi stessi registi sono quelli tra i più attivi nell’essere critici verso le politiche del governo di centrodestra che in questo anno ha permesso, tramite il Ministero della Cultura, di produrre i loro lavori, qualcosa non torna. Se poi un film, come quello sulla festa partenopea per lo scudetto dello scorso anno, fatto in casa e costato pochissimo alle tasche del furbo De Laurentiis fa riempire le sale cinematografiche, in perenne crisi di presenze, ci si interroga allora su cosa possa piacere al pubblico e come incassare senza che lo Stato debba contribuire. Una volta i contributi statali erano per opere che magari non avevano potenzialmente appeal commerciale o erano dei debutti. I contributi erano un aiuto per far emergere storie (come per esempio quest’anno Palazzina Laf sullo scandalo dell’Ilva di Taranto) e artisti che magari non avevano alle spalle le grandi produzioni. In passato a “costruire” film c’erano i tycoon come Cecchi Gori o lo stesso zio di Aurelio De Laurentiis, Dino, e poi in anni più recenti aziende private come la Medusa di Silvio Berlusconi o la stesso servizio pubblico con Rai Cinema.
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Negli ultimi anni l’aiuto statale è diventato una sorta di “aiutino” perenne che ha “drogato” il mercato senza neanche servire a qualcosa. Qualcuno si ricorda chi ha vinto il David di Donatello dell’anno scorso? Quest’anno la grande sorpresa dei premi Oscar italiani è stata C’è ancora domani (5 David vinti su 19 candidature) ha incassato quasi 37 milioni di euro, senza incassare neanche un euro dallo Stato. Nel 2022, i tecnici del ministero allora diretto da Dario Franceschini, respinsero l’opera prima come un «progetto di opera non giudicata di straordinaria qualità artistica».
Il problema non è l’errore che ci può sempre stare, anche se in questo caso sembra veramente mastodontico. Ma è la scelta di dare soldi senza un criterio intelligente o che possa essere veramente d’aiuto per una industria in crisi perenne. Foraggiare registi che hanno alle spalle annidi carriera, premi e lauti guadagni per film che poi al botteghino non incassano è un controsenso che non fa bene all’arte, ma neanche alle casse dello Stato.
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Se poi avviene anche che durante la cerimonia, ormai sempre poco istituzionale e anche classista (vedi l’indecente scelta di premiare le categorie artistiche in una sorta di sottoscala o in una location vuota senza spettatori), si debba assistere a prese di posizioni politiche anche contro chi ti ha aiutato a produrre il tuo lavoro, sembra di assistere così ad una sorta di commedia dell’assurdo, stile Ionesco. E al di là delle idee politiche che vanno sempre rispettate, manca in Italia un vero e proprio movimento culturale che aiuti a risollevare le sorti del cinema italiano. Aurelio De Laurentiis, spesso sbertucciato per i cinepanettoni, pensa a incassare senza guardare la qualità artistica, ma almeno non ci chiede soldi per le sue idee.